La Fonderia Chiantore
L'ing. Camillo Olivetti fin dal momento della costituzione della sua Società, nell'ottobre 1908, si ripropone di produrre internamente quasi tutte le parti della prima macchina per scrivere, la M1; ma per le componenti in ghisa è costretto a rivolgersi all'esterno.
Da tempo l'ingegnere è in contatto con i fratelli Chiantore, la cui fonderia, situata a Ivrea in via Circonvallazione, produce parti in ghisa e in bronzo. La richiesta di fornitura è subito accolta, ma Camillo vuole anche seguire personalmente ogni dettaglio della lavorazione. Non appena finisce il progetto di una parte in ghisa, se ne parte in bicicletta, suo abituale mezzo di trasporto, con i modellini in legno dei pezzi da fondere legati al manubrio. Nella fonderia si effettuano le prove, poi con le parti fuse l'ingegnere torna alla sua officina, collauda i pezzi fino a quando raggiunge la piena soddisfazione.
Per alcuni anni, fino al 1916, le fonderie Chiantore continuano a operare come fornitori esterni della Olivetti, ma allo scoppio della Grande Guerra la situazione cambia. Le banche restringono il credito e le imprese devono affrontare nuove difficoltà finanziarie; in Olivetti la produzione di macchine per scrivere si riduce al minimo e solo la fornitura di materiali bellici di vario genere consente di dare continuità alla fabbrica.
Cala però il fabbisogno di parti fuse e forse per venire incontro alle difficoltà dei fratelli Chiantore, l'ing. Camillo nel 1916 si accorda per prendere in affitto la loro fonderia, con regolare contratto rinnovato di anno in anno.
Ad occuparsi della gestione è lo stesso Camillo, che assicura la continuità di impiego a tutto il personale presente, proprietari compresi. Allo stesso tempo assume Giacomo Saudino, un giovane tecnico che si dedica con passione alle nuove tecniche industriali della fusione.
Seguendo l'attività della Fonderia Chiantore, l'ing. Camillo ha la possibilità, insieme a Burzio e Saudino, di fare esperienza e acquisire competenze che risulteranno preziose per i successivi sviluppi.
Una propria fonderia per fare la ghisa "in casa"
Nel febbraio 1922 Camillo Olivetti decide di costituire la Società anonima Fonderia Olivetti con capitale sociale di 600.000 lire, che rapidamente si sostituisce alle fonderie Chiantore, ritornate in pieno possesso dei fratelli Chiantore; la loro attività proseguirà fino alla metà degli anni '50.
La decisione di creare una fonderia Olivetti, affidata alla direzione di Giacomo Saudino, è legata alla ripresa della produzione di macchine per scrivere, per le quali l'ing. Camillo si pone obiettivi ambiziosi.
La Società anonima, in cui lavoreranno anche alcune persone della famiglia Chiantore, viene costituita con fondi privati dell'ingegnere e di alcuni suoi amici; lo stabilimento viene costruito lungo l'attuale via Di Vittorio, in prossimità degli altri stabilimenti produttivi di Ivrea. La fonderia resterà indipendente dal resto della società Olivetti fino al 1933, quando sarà incorporata nel gruppo, divenendone un reparto.
La crisi mondiale del 1929 non arresta lo slancio della produzione Olivetti, alimentata sia dalla riorganizzazione impressa dall'ing. Adriano, sia dal lancio di nuovi modelli.
Tra il 1923 e il 1950 la Fonderia Ghisa viene ripetutamente ampliata per far fronte alle crescenti esigenze produttive: si aggiungono i saloni a shed per la formatura, un fabbricato per i reparti di sbavatura e sabbiatura, un'officina per la manutenzione, la costruzione dei modelli, un altro fabbricato per magazzini e spogliatoio, un grande capannone dove negli anni '50 saranno introdotti vari tipi di forni elettrici con l'automazione di varie operazioni prima fatte a mano.
Nei primi tempi, la produzione della fonderia si svolge con metodi tradizionali e gli operai nel corso della giornata devono movimentare, mediamente, un peso di circa due tonnellate. Occorrono, quindi, persone abituate a lavori faticosi e dotate di buona volontà; la "callosità" delle mani costituisce una buona referenza!
Bisogna spostare i depositi di lingotti di ghisa e rottami, carbone coke, terre da fonderia e refrattari che sono conservati in un angolo dello stabilimento chiamato "magazzino materie prime". Poi si passa al reparto "formatura", dove sono preparate, con modelli in legno, le impronte per la colata della ghisa per ottenere i pezzi delle macchine per scrivere. Questo reparto è diviso in due: la sezione formatura a mano, che richiede una particolare abilità, è riservata soprattutto alla produzione di parti destinate alle macchine utensili e la sezione formatura a macchina, nella quale la cavità in cui colare la ghisa è ottenuta con modelli in lega di alluminio.
Alla fine del ciclo di formatura si ottiene la "motta", cioè il blocco di terra che contiene la cavità in cui colare la lega metallica fusa, comunicante con l'esterno attraverso i canali di colata. Tale motta viene appoggiata su una robusta tavola di legno che serve per la sua movimentazione. Rimossa dal piano di lavoro della formatrice e depositata in ordinate file sul pavimento del reparto, la motta è pronta per ricevere la ghisa fusa.
La successiva operazione è quella della preparazione della ghisa liquida e della sua colata nelle forme. Per effettuarla si ricorre a forni verticali cilindrici chiamati cubilotti, nei quali viene caricata una quantità opportuna di carbone metallurgico coke. A strati alterni si aggiunge poi la ghisa in lingotti o a rottami, gli uni e gli altri in quantità tale da permettere la composizione chimica desiderata. La fusione avviene insufflando aria, ad una certa pressione, attraverso alcuni ugelli posizionati nella cosiddetta "zona di fusione": la ghisa fusa cola ed è raccolta in recipienti di metallo foderati di materiale refrattario (le siviere) con le quali poi la ghisa viene versata nelle forme posate sul pavimento.
Nuove tecnologie, nuovi materiali e la parabola della fonderia di ghisa
Con l'inizio degli anni Cinquanta si introducono notevoli modifiche nelle lavorazioni. I cubilotti sono sostituiti da forni elettrici che funzionano 24 ore su 24, con i vantaggi di un risparmio sul costo della materia prima utilizzata, una composizione chimica della lega fusa più rigorosa e la disponibilità continua di ghisa pronta per la colata. Particolare, quest'ultimo, che si rivela determinante quando dalla formatura a macchina tradizionale si passa all'impianto di formatura meccanizzato "Safog", dove formatura e colate si svolgono in linea.
Quasi contemporaneamente (1953), per far fronte alle specifiche di alcune parti in ghisa delle macchine per scrivere che richiedevano caratteristiche meccaniche ottenibili soltanto attraverso un processo di tempera, cioè un raffreddamento rapido del getto colato, la fonderia affianca alla "colata in terra" un sistema di getto in "conchiglia", cioè una forma metallica permanente che consente di sottoporre successivamente i pezzi ad un trattamento termico di ricottura. Il reparto viene allora dotato di una "giostra" Eaton e di un forno elettrico a cassoni della Brown Bovery.
Un'ulteriore modernizzazione si registra nel 1956 con l'entrata in funzione dell'impianto pilota "Pramaggiore" nel quale sono meccanizzate e disposte sequenzialmente tutte le operazioni del ciclo del getto e cioè: preparazione terra, formatura e, infine, "distaffatura", ovvero, la separazione del getto dalla terra e dal sistema di alimentazione del getto.
Grazie a questi progressi, negli anni '60 dalla Fonderia Ghisa escono circa 10 tonnellate di materiale al giorno, malgrado le persone impiegate si riducano a 150 dalle circa 200 dei primi anni '50.
La Fonderia Ghisa rifornisce, oltre agli altri reparti Olivetti, anche clienti esterni che spesso, come succedeva fin dagli anni '30, chiedono fusioni di grosse dimensioni e rilevante impegno.
Tuttavia, ciò non impedisce il declino dell'attività: l'aumento dei costi dell'energia e delle materie prime, i problemi ambientali legati alla sua collocazione in pieno centro cittadino, tra l'asilo e l'infermeria, e soprattutto la drastica riduzione delle parti in ghisa utilizzate nei prodotti Olivetti portano nel marzo 1968 alla chiusura dell'impianto.
La pressofusione delle leghe di alluminio
Sull'altro lato di via Di Vittorio prosegue, tuttavia, l'attività della Fonderia Alluminio avviata verso la fine degli anni '40. In precedenza i pochi pezzi in lega di alluminio che erano presenti nelle macchine Olivetti venivano colati in terra o "in conchiglia", cioè nelle forme metalliche, con il metodo tradizionale di gravità (riempimento della forma dovuto alla pressione del metallo liquido). Ma con l'immissione sul mercato della Lettera 22 e di altre macchine per scrivere e da calcolo, ai componenti ottenuti per fusione vengono richiesti requisiti che il metodo tradizionale non riesce a soddisfare: una struttura interna compatta, a grana fine e talvolta spessori anche inferiori al millimetro. Si rende allora necessario introdurre una nuova tecnologia di colata, facendo ricorso alla pressofusione, che a quel tempo è appena agli esordi.
La Fonderia Alluminio si organizza in tre reparti produttivi: quello di preparazione della lega fusa, il reparto "pressocolatrici", nel quale si lavorano leghe a base di alluminio, rame, silicio e manganese, e il reparto delle lavorazioni complementari del getto pressofuso.
Le tecniche di anno in anno sono affinate per garantire la massima qualità del prodotto finito: si installano le migliori macchine esistenti sul mercato e si utilizzano le migliori leghe, così che il reparto, organizzato su due turni di lavoro, è in grado di far fronte con piena soddisfazione alle richieste provenienti dai montaggi: carrozzerie, fiancate, leve e cinematici.
Tuttavia, come era già avvenuto con la Fonderia Ghisa, anche per la Fonderia Alluminio verso la fine degli anni '70 cambia il vento: la svolta verso l'elettronica, la sinterizzazione e la tecnologia delle materie plastiche gradatamente si sostituiscono a quella della pressofusione, offrendo, oltre al vantaggio della leggerezza quello di eliminare le costose operazioni di finitura richieste dal pressofuso. Nel 1979 anche la Fonderia Alluminio deve chiudere e il personale viene assegnato ad altri reparti dell'azienda.
Questo testo è liberamente tratto da uno scritto di Rolando Argentero