Le ragioni di un nuovo comprensorio industriale
Il successo delle macchine per scrivere e da calcolo aveva determinato nel corso degli anni ‘50 una forte espansione della Olivetti. Tra il 1950 e il 1960 l’occupazione della Società in Italia era quasi triplicata, avvicinandosi ai 15.000 dipendenti, con un forte incremento della capacità produttiva reso possibile, oltre che dagli investimenti nelle tecnologie di produzione, anche dai nuovi stabilimenti di Pozzuoli (NA), Aglié (TO) e San Bernardo d’Ivrea e dai diversi ampliamenti (Nuova ICO) delle storiche officine a Ivrea. Ciononostante, all’inizio degli anni ’60 la capacità produttiva era giudicata insufficiente. Probabilmente si riteneva che la transizione dalla meccanica all’elettronica sarebbe stata lenta e graduale e che per molti anni ancora l’esigenza di spazi industriali per le produzioni meccaniche ad alta intensità di lavoro avrebbe continuato a crescere senza sosta.
Prese quindi corpo l’idea di costruire un nuovo polo industriale, non più a Ivrea, ormai “satura” della presenza Olivetti, ma in un’area non troppo distante. Le linee guida del progetto prevedevano:
- collegamento organico e razionale dei nuovi stabilimenti con il polo industriale di Ivrea; - possibilità di incrementare gli spazi a disposizione per la produzione in funzione delle crescenti necessità aziendali;
- agevole possibilità di adattare le linee di produzione alla continua evoluzione tecnologica degli impianti e dei prodotti;
- dimensione dei nuovi stabilimenti compresa tra gli 80mila e i 160mila mq, oltre a una serie di strutture di servizi industriali e di servizi sociali adeguati allo “stile Olivetti” per una “popolazione” di 10mila dipendenti;
- disponibilità di un terreno pianeggiante di almeno 1 milione di mq in un sito nel raggio di 15-20 chilometri da Ivrea.
Una localizzazione coerente con le esigenze del territorio
Date queste premesse, la scelta Olivetti fu quella di collocare l’impianto nel territorio del piccolo comune di Scarmagno, a sud di Ivrea, distante solo una dozzina di chilometri, tanto che per alcuni anni il casello autostradale che lo serve sarà chiamato “Ivrea Sud”.
In un articolo pubblicato su Notizie Olivetti nel novembre del 1962 l’architetto e urbanista Giovanni Astengo rileva due fattori molto positivi in questa scelta di localizzazione:
1) la facilità dei collegamenti stradali, autostradali e ferroviari sia con Ivrea, sia con Torino;
2) l’appartenenza dell’area prescelta a un comprensorio cuscinetto, scarsamente industrializzato, incuneato tra l’area industriale di Torino e quella di Ivrea, ma esterno ad entrambe.
Astengo osserva inoltre che nei 15 comuni intorno a Scarmagno nel 1961 sono presenti circa 25mila abitanti. La prospettiva di un polo industriale capace di occupare, con una crescita graduale, fino 10mila persone avrebbe certamente apportato profonde modifiche strutturali in tutto il sistema socio-economico locale, imprimendo una notevole spinta allo sviluppo di un’area fino ad allora rimasta ai margini del processo di industrializzazione. Allo stesso tempo non sarebbe stato difficile per l’Olivetti reperire la manodopera in loco, senza determinare forti movimenti migratori.
Il progetto iniziale
Il progetto architettonico generale del nuovo polo industriale viene affidato a Marco Zanuso ed Eduardo Vittoria. Entrambi hanno già collaborato con Olivetti per realizzare importanti strutture industriali: nel caso di Vittoria, la palazzina del centro studi ed esperienze e la centrale termica a Ivrea, e lo stabilimento di San Bernardo; per Zanuso, lo stabilimento di Guarulhos presso San Paolo in Brasile, a cui farà seguito poco più tardi la progettazione dello stabilimento di Merlo, presso Buenos Aires.
Il progetto del 1962 è certamente interessante, anche se al momento della sua realizzazione subirà drastiche modifiche.
L’idea dei due architetti è che la grande superficie disponibile venga utilizzata dalle costruzioni, dalle vie di comunicazione e dai parcheggi per circa 200mila mq, mentre i restanti 800 mila sono destinati al verde e/o a futuri ampliamenti. Alla fine dei lavori di costruzione e ampliamento, si arriverà a circa 175.000 mq di superfici coperte, 185.000 per viabilità e parcheggi, 650.000 per l’area verde.
Nel progetto iniziale, gli edifici per la produzione sono disposti a forma di una doppia T e sono uniti in quattro punti; i 4 nuclei trasversali misurano circa 22mila mq e i 2 nuclei longitudinali 31mila mq, per un totale prossimo ai 150.000 mq. Le costruzioni per i servizi industriali e sociali sono distribuite razionalmente sia dal punto di vista economico (evitare dispersioni di energia e per quanto possibile mettere in comune i vari servizi per più poli produttivi), sia funzionale (facilità di accesso per chi li utilizza).
L’elemento chiave di questo primo progetto è un modulo di 45x45 m; la struttura in acciaio che forma la copertura di ogni modulo viene costruita a terra per essere poi issata sui quattro pilastri che la reggono. La struttura avrebbe poi dovuto essere coperta con lastre di metacrilato.
Di questo progetto venne realizzata solo la costruzione sperimentale di un modulo, costruzione che risultò comunque utile anche per la successiva progettazione.
Il polo di Scarmagno: una crescita durata trent’anni
L’effettiva costruzione del complesso industriale viene realizzata attraverso successivi sviluppi nel corso di quasi un trentennio tra il 1962 e il 1991, ma i lavori principali risalgono al periodo 1962-1971.
Il primo edificio, situato nella parte sud del comprensorio industriale, è il fabbricato “A”, costruito nel 1962-64. Si tratta di un grande parallelepipedo, progettato da Ottavio Cascio, lungo oltre 550 m. e largo circa 100 m, destinato dapprima ad attività produttive e in seguito, nel 1993, a magazzino. La struttura, in acciaio, è basata su moduli di 12 x 12 m; la copertura è assicurata da 8 padiglioni accostati; i colmi di ogni padiglione sono trasparenti per consentire una illuminazione interna con luce naturale. Il fabbricato copre una superficie lorda di circa 57.000 mq.
Una limitazione di questa costruzione era la sua struttura “chiusa”, che ne rendeva problematico un eventuale ampliamento. Per questo motivo, in previsione della rapida saturazione di questo fabbricato, l’Azienda chiede ai progettisti, per i successivi sviluppi del comprensorio, il rispetto di due ulteriori requisiti: la possibilità di ampliamento dei nuovi fabbricati in ogni direzione e la rapidità dei tempi di realizzazione.
Il nuovo progetto messo a punto da Marco Zanuso, Eduardo Vittoria e Roberto Guiducci (il progetto strutturale è di Antonio Migliasso) conduce alla costruzione in successione dei fabbricati “B”, “C” e “D”, completati tra il 1968 e il 1971, oltre che degli edifici per la verniciatura, per i servizi industriali, gli uffici, l’infermeria e le due mense (presso gli edifici “B” e “D”) - realizzati questi ultimi con prefabbricazioni leggere. Tutte queste costruzioni sono situate a nord del precedente fabbricato “A”.
Anche in questo nuovo progetto viene adottata, per gli edifici produttivi, una soluzione modulare, sviluppata su una maglia di elementi rettangolari di 12x18 m. Questa soluzione verrà in seguito adottata anche per gli stabilimenti Olivetti di Crema e di Marcianise (Caserta).
Un elemento caratteristico di queste costruzioni sono gli eleganti pilastri alti circa 9 metri e pesanti oltre 11 tonnellate. Dall’estremità superiore di ogni pilastro escono due aste d’acciaio che servono al collegamento con le travi principali - disposte longitudinalmente sul lato più lungo del modulo - ciascuna del peso di 20 tonnellate. Queste travi hanno la sezione di una Y rovesciata che permette l’innesto sul pilastro principale e anche l’appoggio delle travi secondarie, disposte trasversalmente sul lato più corto del modulo. Le travi secondarie hanno la forma di una V che all’interno consente l’alloggiamento dei canali di distribuzione dell’impianto di termo-ventilazione.
La copertura del tetto è realizzata con lucernari in plastica che poggiano sui bordi delle travi secondarie. I lucernari sono completati da una “cuffia” superiore in plastica rinforzata con fibre di vetro per consentire una adeguata protezione dai raggi solari.
Questa copertura è completata da un cunicolo aereo di 3x3 m. che corre lungo l’asse longitudinale dell’edificio, con varie diramazioni laterali, per ospitare le “dorsali” della rete degli impianti.
Le facciate sono realizzate in lamierino smaltato con ampio uso di vetrate. Per i pavimenti si sono usate, su una base di calcestruzzo, piastrelle in cemento.
Con questi criteri sono stati costruiti i fabbricati “B” (disposto su 27.600 mq lungo il lato ovest del comprensorio, quasi parallelamente all’autostrada Torino-Ivrea), “C” (24.200 mq) e “D” (31.100 mq). Gli stabilimenti sono collegati tra loro da una rete di corridoi sotterranei o coperti.
Il fabbricato “E” e la parabola del comprensorio industriale
Un discorso a parte merita il fabbricato “E”, il cui progetto iniziale risale al 1986, in una fase in cui il forte sviluppo della produzione Olivetti, soprattutto per i personal computer, sembrava prospettare l’esigenza di un nuovo ampio stabilimento produttivo. Il progetto, che si basa sostanzialmente sugli stessi criteri costruttivi degli altri fabbricati, fatta eccezione per le diverse soluzioni adottate per le facciate, ben presto deve subire importanti modifiche.
Quando l’Azienda si trova a fare i conti con il rallentamento delle vendite di PC e con la progressiva semplificazione del ciclo produttivo, si decide (1990) di ridurre la superficie dal fabbricato dagli inziali 21.400 mq a 12.000 mq, articolati in due corpi: uno ad uso uffici, disposto su due piani, l’altro più ampio disposto su un solo piano per finalità di produzione. Ma all’atto pratico, la realizzazione si ferma al solo corpo degli uffici, che coprono un’area di 4.000 mq.
Nel comprensorio di Scarmagno dalla fine degli anni ’60 in poi l’Olivetti ha localizzato la produzione di molti dei sui più importanti prodotti - dalle telescriventi ai microcomputer, dai personal computer ai sistemi informatici - divenendo per molti anni il più importante polo produttivo del Gruppo.
Ma la progressiva uscita dell’impresa dal business informatico, con la cessione avvenuta nel 1997 e 1998 delle attività nei PC e nei sistemi informatici ha condotto al progressivo svuotamento del grande comprensorio, oggi (2013) appartenente a un fondo immobiliare e utilizzato in misura assai modesta rispetto alle potenzialità dai suoi grandi spazi.
Varie informazioni contenute in questo percorso sono liberamente tratte dal volume di D. Boltri, G. Maggia, E. Papa, P.P. Vidari, “Architetture olivettiane a Ivrea”, Gangemi Editore, Roma 1998