Gino Martìnoli è il primogenito di Giuseppe Levi e Lidia Tanzi; assume questo cognome quando abbandona quello della famiglia Levi a motivo delle leggi razziali antisemitiche del 1938.
Nasce il 19 marzo 1901 a Firenze dove il padre, medico proveniente da una famiglia ebraica della borghesia triestina, è assistente alla cattedra di anatomia. In seguito la carriera universitaria conduce i Levi a Sassari, a Palermo (dove nasce – dopo Gino, Paola, Mario e Alberto – la quinta e ultima figlia, Natalia, che sposerà Leone Ginzburg) e quindi a Torino.
Qui Gino si iscrive al Politecnico, scegliendo il corso di studi in chimica industriale, frequentato anche da Adriano Olivetti, suo coetaneo. Tra i due giovani si instaura un rapporto di amicizia, favorito dai buoni rapporti esistenti, a motivo della comune fede socialista, tra i loro genitori. Frequentando casa Levi a Torino, Adriano ha modo di conoscere Paola, che sposa nel 1924.
Dopo aver frequentato il corso allievi ufficiali con Adriano e aver assolto il servizio di leva, Gino si laurea. In quello stesso 1924 Camillo Olivetti gli propone di lavorare per qualche tempo nella sua fabbrica come semplice operaio per apprendere sul campo le tecniche della lavorazione meccanica. Martìnoli accetta e si trasferisce a Ivrea, dove in realtà inizia una brillante carriera che lo trattiene in Olivetti fino al 1945. In quasi 22 anni lavora sia al progetto di alcune macchine, sia alla riorganizzazione dei processi produttivi che in quegli anni subiscono importanti trasformazioni.
Martìnoli su indicazione di Camillo Olivetti va in Germania per perfezionare il tedesco e visitare alcune fabbriche. Rientra volentieri a Ivrea, dove si è bene ambientato: qui, alla vicinanza delle montagne, che soddisfa la sua passione per l’alpinismo ereditata dal padre, si è aggiunto l’incontro sentimentale con Piera Cheli, che sposa nel 1926 e da cui nel 1934 nasce il figlio Arturo.
Per la fabbrica di Ivrea stanno maturando importanti novità. Dopo il lungo viaggio di studio di Adriano Olivetti, che nel 1925-26 visita negli Stati Uniti un centinaio di aziende, il processo di modernizzazione della fabbrica eporediese accelera: si introducono nuovi macchinari, si adottano nuovi sistemi di organizzazione scientifica del lavoro, si avviano processi di produzione in serie per migliorare la produttività.
Martìnoli viene coinvolto direttamente da queste innovazioni, che non si limitano a cambiare i processi produttivi, ma toccano anche il progetto, il design e la funzionalità dei prodotti.
Pur senza avere le specifiche competenze e qualità del progettista meccanico, collabora con Camillo Olivetti alla progettazione della M40, la macchina per scrivere che nel 1930 sostituisce la M20. Gli viene quindi affidato il compito di avviare la produzione in serie del nuovo modello.
In quegli anni in Olivetti vengono condotti studi e analisi scientifiche delle mansioni per scomporre – e poi ricomporre – i processi di lavorazione in modo da renderli più rapidi ed efficienti; sono introdotti nuovi sistemi di incentivi e nuovi metodi di calcolo dei tempi di lavoro. Martìnoli, che contribuisce attivamente al processo riorganizzativo, nel 1932 viene nominato direttore tecnico.
Antifascista, come tutta la sua famiglia, nel 1934 viene arrestato e resta in carcere a Torino per due mesi; viene quindi rimesso in libertà, ma con “due anni di ammonizione”, durante i quali ha l’obbligo di residenza a Ivrea e non può uscire di casa tra le 21 di sera e le 6 del mattino.
Quando nel febbraio 1944 Adriano Olivetti, dal 1938 presidente della Società, deve riparare in Svizzera, la conduzione della Olivetti è affidata a un triumvirato composto da Giovanni Enriques (attività commerciali), Giuseppe Pero (amministrazione) e Gino Martìnoli (produzione).
Sono mesi molto difficili, in particolare per Martìnoli, che più volte viene arrestato con accuse di antifascismo, ed Enriques: entrambi fanno parte del CLN di fabbrica e si adoperano per aiutare le formazioni partigiane e la popolazione locale, conservare il lavoro dei dipendenti e salvare gli stabilimenti. Quando nel gennaio 1945 il comando militare tedesco di Vercelli ordina di minare la fabbrica di Ivrea per distruggerla (fino ad allora era considerata “stabilimento protetto”, in quanto produttore di materiale utile al Reich) Enriques e Martìnoli riescono a corrompere un ufficiale tedesco e a rinviare la distruzione dello stabilimento, che può così giungere indenne alla fine della guerra pochi mesi più tardi.
A maggio del ’45 Adriano Olivetti rientra dalla Svizzera e a luglio ritorna a capo dell’Azienda. La sua prima decisione, forse influenzata dalle pressioni degli altri azionisti, è quella di allontanare i triumviri da Ivrea. All’amico Martìnoli Adriano propone di andare in Spagna come capo officina dello stabilimento di Barcellona, ma Martìnoli, in un primo momento molto amareggiato, rifiuta e lascia la Olivetti.
Per qualche mese entra a far parte del Consiglio Industriale Alta Italia (CIAI), istituito dal CLN nazionale, ma all’inizio del 1946 il richiamo del lavoro in officina lo induce ad accettare la direzione tecnica dello stabilimento Navalmeccanica, azienda del gruppo IRI, a Napoli. Dopo sei mesi, deluso dal duro contrasto rispetto alla bella esperienza in Olivetti, lascia l’incarico e si trasferisce a Milano dove lavora sempre in ambito IRI con compiti di supervisione sulle industrie meccaniche dell’Istituto.
Nel 1948, anche in seguito a frequenti contrasti con la direzione centrale, lascia l’IRI e ritorna in un’impresa privata, la Vittorio Necchi di Pavia, produttrice di macchine per cucire. Nel ruolo di direttore generale tecnico, forte dell’esperienza maturata in Olivetti, promuove l’innovazione di prodotto e il rinnovamento anche organizzativo del processo produttivo, conseguendo positivi risultati. Ma nel 1956, in disaccordo con la proprietà e la direzione aziendale, lascia la Necchi e torna a Milano, dove crea la SIPAI, società di consulenza che avrebbe dovuto assistere l’IRI nelle gare internazionali per la fornitura di impianti.
Ma l’anno seguente Enrico Mattei gli offre il ruolo di amministratore delegato dell’Agip nucleare e Martìnoli non può rifiutare; anche questa esperienza, però, non ha lunga durata perché nel 1960 l’attività dell’Agip nucleare viene drasticamente ridimensionata. Martìnoli passa allora alla Compagnia Generale di Elettricità, diventandone il direttore generale nel momento in cui la società si appresta a ritornare nel gruppo General Electric. I rapporti con gli americani, però, non soddisfano Martìnoli, che nel 1961 decide di lasciare la gestione aziendale.
Se pur formalmente pensionato, prosegue la sua attività in modo intenso, ma spostando gli interessi verso i temi sociali e la formazione. In questo campo segue uno studio avviato in precedenza dalla Svimez e poi completato dal Censis con riferimento alle esigenze di formazione nel Mezzogiorno e nelle aree mediterranee.
Nel 1961 è nominato presidente del Formez (centro di formazione della Cassa per il Mezzogiorno) e più tardi avrà anche un ruolo diretto nella creazione dell’Istud (Istituto studi direzionali) a Varese. Partecipa ad alcune commissioni del Ministero della Pubblica Istruzione, pubblica diversi libri e dal 1956 al 1975 dirige la Rivista di organizzazione aziendale.
Nel 1964, seguendo un suo crescente interesse per i problemi sociologici, partecipa con Giuseppe De Rita e Pietro Longo alla creazione del Censis (Centro studi investimenti sociali), il cui campo di attività si estenderà dal Mezzogiorno all’intero territorio nazionale. Il Censis nel 1973 diviene una fondazione e Martìnoli dal 1980 ne diviene il presidente.
Rimasto vedovo nel 1975, ritorna nella sua abitazione di Ivrea, dove riprende i contatti con Silvia, sorella di Adriano Olivetti, con cui si sposa nel 1982.
Rimasto nuovamente solo nel 1990, si spegne a Ivrea il giorno di Natale del 1996.