Perché una nuova costruzione per il Centro Studi
A ridosso della collina di Montenavale, a Ivrea, poco al di sopra degli stabilimenti storici della Olivetti che si sviluppano in modo lineare lungo la direttrice della via Jervis, sorge un edificio di tre piani, articolato in quattro ali e rivestito di piastrelle di colore azzurro-blu. Il contrasto con il verde della collina, con le vetrate, i colori chiari e le forme compatte degli stabilimenti è evidente: la “casa blu”, come familiarmente è conosciuta da molti eporediesi, non passa inosservata. Per molti anni qui ha avuto sede il principale centro studi e ricerche della Olivetti.
All’inizio degli anni ’50 l’Olivetti era in grande espansione: le vendite della Lexikon 80 e della Lettera 22 andavano a gonfie vele; calcolatrici, macchine contabili e telescriventi avevano un crescente successo. La tecnologia prevalente era quella meccanica, ma i prodotti erano sempre più complessi e per migliorarli non bastava l’iniziativa isolata di qualche progettista geniale: occorreva rendere più organica l’attività di progetto, concentrare le risorse, avere il supporto di studi e ricerche condotte in modo sistematico.
Nasce così l’idea di costruire una sede specifica per un “centro studi ed esperienze”, fisicamente separato dagli stabilimenti dove l’attività di produzione ha i suoi ritmi e ha bisogno di sempre maggiori spazi. Siamo nel 1951: Adriano Olivetti, che da poco ha affidato a Luigi Cosenza la progettazione dello stabilimento di Pozzuoli, si rivolge ad un altro giovane architetto napoletano per progettare la sede del centro studi di Ivrea: è Eduardo Vittoria, allora appena ventottenne.
L’orientamento architettonico di Eduardo Vittoria
La gestazione del progetto è lunga. L’architetto ha grande libertà di scelta: non vi sono problemi di spazi e di forme, ma la vicinanza dei possenti stabilimenti di Figini e Pollini, dove sono in corso ulteriori ampliamenti, rende più difficile trovare una soluzione soddisfacente.
Vittoria – come lui stesso scrive sulla rivista “L’Architettura” – si ispira ai grandi maestri: “l’invenzione spaziale di Wright, il rigore linguistico di Mies van der Rohe, la tradizione italiana del Settecento, da Vanvitelli a Valadier”. E’ convinto che “non vi è nulla di nuovo da inventare nell’architettura moderna, ma che in compenso vi è molto da studiare per approfondire quei motivi che i nostri maestri hanno già elaborato”. Perciò si oppone alle improvvisazioni, agli impulsi del momento, alle ventate dell’irrazionalismo che sta raccogliendo consensi; si oppone a quanti avevano creduto che “l’uso di forme strane, libere, di piante distorte, di tetti spioventi – in genere, la preminenza della fantasia sul ragionamento – potesse assicurare il passaporto dell’invenzione artistica”.
Il centro studi, che verrà aperto nel luglio 1955, è la conferma di questa impostazione architettonica: una costruzione ragionata, frutto di una prolungata ricerca; una struttura di forma libera e movimentata, ma ordinata secondo linee geometriche corrispondenti a una croce a quattro bracci asimmetrici che partono da un corpo centrale.
E’ lo stesso Vittoria che spiega le ragioni di questa struttura: “Il pretesto delle quattro sezioni di uffici (n.d.r. cioè, le principali linee di prodotto di quel tempo: macchine per scrivere, macchine da calcolo, contabili e telescriventi) e la possibilità di poter contare su uno spazio libero relativamente grande, mi suggerì l’idea di una costruzione da sviluppare attorno a un nucleo centrale formato da una scala che, contenendo tutti i servizi, liberasse i quattro bracci da qualsiasi vincolo”.
Una costruzione mediterranea a Ivrea?
Nel febbraio 1954 inizia la costruzione vera e propria. Dal corpo centrale si dipartono le quattro ali, che all’esterno movimentano la struttura della costruzione e le danno un aspetto diverso a seconda dell’angolo visuale. Le ali, di diversa lunghezza, sono larghe dai 9 ai 12 metri. La superficie utile occupata dal piano terra è di 1.140 mq, che si riducono ai 990 mq del primo piano e ai 640 del secondo per effetto di un arretramento dei volumi che lascia spazio ad ampi terrazzi.
La presenza di terrazzi e balconate, certamente inconsueta in un edificio industriale, contribuisce insieme ai colori brillanti della costruzione (l’azzurro e il blu delle piastrelle in klinker smaltato lucido che rivestono le facciate; il rosso scuro degli infissi in ghisa; il bianco delle travi di bordo orizzontali e dei pilastri perimetrali) a portare una nota di vivacità mediterranea nel severo ambiente del comprensorio industriale olivettiano.
La copertura del vano scala è costituita da un velario di “perspex” protetto da vetro-cemento e poggiato su montanti in ferro. Nello spessore delle travi è alloggiata l’illuminazione artificiale, così da assicurare una analoga fonte luminosa sia di giorno che di notte. Il tetto piano che copre le ali presenta un cornicione perimetrale molto pronunciato.
All’interno, è caratteristica la scala a sviluppo romboidale, con una ringhiera realizzata con tondino di ferro da 15 mm disposto a sinusoide, su cui poggia un mancorrente in legno. In seguito, la sinusoide è stata coperta da pannelli in bilaminato bianco.
Nel 1965 l’edificio viene ampliato sulla base di un progetto di Ottavio Cascio, che aggiunge due campate all’ala est, utilizzando materiali identici a quelli originali. Un altro ampliamento viene realizzato nel 1966-68: nel piano interrato, che ospita laboratori e la camera anecoica per le prove di rumorosità, viene aggiunto il locale di una camera riverberante per il controllo dell’assorbimento acustico.
Dopo essere stata anche utilizzata come sede di uffici, nel 2000 la “casa blu” viene destinata dall’Olivetti ad ospitare il nuovo Interaction Design Institute, ambizioso progetto di scuola superiore di comunicazione, con corsi di master aperti a giovani di tutto il mondo. A tal fine gli interni della costruzione di Vittoria sono oggetto di ampie ristrutturazioni affidate a Ettore Sottsass. Dopo il trasferimento della scuola a Milano (2006), lo storico “centro studi ed esperienze” ospita alcuni uffici della Olivetti. Divenuto parte di "Ivrea città industriale del XX secolo", riconosciuta nel 2018 dall'Unesco patrimonio dell'umanità, nel 2019 l'edificio diviene sede del quartier generale della Olivetti.