La breve stagione dei Consigli di Gestione nelle imprese italiane
In molte grandi imprese italiane il Consiglio di Gestione (CdG) viene costituito negli anni del secondo dopoguerra con l'obiettivo di offrire ai lavoratori forme di partecipazione alla gestione dell'impresa.
Già nel 1943, dopo la caduta di Mussolini, i commissari preposti dal governo Badoglio alla Confindustria e alla Confederazione dei lavoratori si erano accordati per ridare vita alle Commissioni interne. In seguito, nel febbraio 1944, la Repubblica di Salò aveva emanato un decreto sulla socializzazione delle grandi imprese che prevedeva ampi poteri per un nuovo organismo - il Consiglio di Gestione - formato in modo paritario da rappresentanti dei lavoratori e della proprietà. Questo decreto restava in vita anche dopo che il Comitato di Liberazione Nazionale dell'Alta Italia (CLNAI) nell'aprile 1945 aveva cancellato la legislazione sociale fascista, ma con l'eccezione proprio dei CdG, di fatto affidati ai Comitati di Liberazione Nazionale Aziendale (CLNA).
Nel dicembre 1946 il Ministro socialista dell'Industria Rodolfo Morandi presenta un disegno di legge per disciplinare i CdG. La proposta non sarà mai approvata, ma il tema della partecipazione dei lavoratori viene affrontato anche dall'Assemblea Costituente: l'articolo 46 della Costituzione riconosce il diritto dei lavoratori a "collaborare alla gestione dell'impresa".
In assenza di una precisa legislazione in materia, i CdG che tra il 1946 e 1947 nascono in molte grandi imprese sulla base di accordi aziendali (es. il CdG Fiat è del febbraio 1946) presentano una certa varietà di struttura e compiti. Dopo il 1948, con la vittoria della DC sulle sinistre e con la divisione del sindacato unitario, i CdG esistenti perdono coesione e tendono ad operare sempre più come organismi rivendicativi nei confronti dell'impresa. La conseguenza è che nel giro di pochi anni i CdG, senza aver potuto incidere granché sulla gestione aziendale, vengono chiusi per decisione unilaterale delle imprese.
Nasce il Consiglio di Gestione Olivetti
In Olivetti, i comitati di impiegati e di operai nati spontaneamente nell'estate 1943, danno vita a una Commissione interna, organo di rappresentanza dei lavoratori previsto anche dal governo repubblichino. Dal giugno 1944 le forze della resistenza, molto attive in Olivetti, formano anche una Commissione interna clandestina che, finita la guerra, insieme al CLNA avvia nell'agosto del 1945 un concreto tentativo per costituire un CdG. Una proposta articolata in tal senso viene presentata alla Direzione aziendale in novembre.
Inizia allora una faticosa trattativa; le controproposte dell'Azienda, riduttive in termini di poteri del CdG, non sono accettate dal CLNA; alla Officina Meccanica Olivetti (OMO) nasce un CdG provvisorio, ma il venir meno con l'elezione dell'Assemblea Costituente (2 giugno 1946) di tutti i CLN le trattative entrano in fase di stallo fino a una sostanziale rottura.
Con il ritorno di Adriano Olivetti alla presidenza il dibattito sul CdG viene ripreso seriamente nell'autunno 1947. Alla fine di gennaio 1948 le parti si accordano su una bozza di Statuto messa a punto da una commissione di studio costituita con la partecipazione del CdG provvisorio allargato a rappresentanti dei dirigenti. Lo Statuto, a cui lavora in particolare Franco Fortini, si rifa alle linee della proposta di legge Morandi; è comunque uno dei più avanzati tra quelli adottati nelle altre imprese, dove gli accordi stanno già entrando in crisi.
L'organizzazione del nuovo istituto
Lo Statuto prevede che il CdG sia presieduto con diritto di voto dal presidente della Società o da un suo delegato; è composto da 14 consiglieri (in seguito aumentati a 18), suddivisi in una Parte elettiva (Pe) e una Parte nominata dalla Direzione (Pn). La Pe è formata da 8 consiglieri, di cui 6 scelti con un sistema elettorale maggioritario di doppio grado. Tutti i dipendenti eleggono la Consulta, composta da 65 operai e 36 impiegati: la Consulta a sua volta elegge 3 operai e 3 impiegati. I dirigenti eleggono direttamente un loro rappresentante, mentre l'ottavo consigliere della Pe è scelto con elezione diretta da tutti i dipendenti.
La Pn è composta da 6 consiglieri (in genere dirigenti) nominati dal presidente della Società. Di fatto gli operai - che sono la categoria più numerosa dei dipendenti - risultano sottorappresentati; di qui sarebbero derivate in seguito frequenti rivendicazioni soprattutto da parte delle sinistre per passare a un sistema elettorale proporzionale.
I poteri del CdG sono suddivisi in consultivi e deliberativi. Tra i primi (art. 28) rientrano i programmi di produzione, la pianificazione degli impianti industriali, il miglioramento delle condizioni di vita e di lavoro dei dipendenti, i progetti e trasformazioni interessanti direttamente la vita dei lavoratori, ecc. Tra i poteri deliberativi (art. 29) rientra la ripartizione delle somme destinate ai servizi sociali di assistenza.
Un luogo di intenso dibattito e aperto confronto
Il primo CdG, eletto il 22 marzo 1948, deve subito affrontare vari problemi di messa a punto di un regolamento. Il confronto tra le parti è serrato, ma sempre molto aperto. Oltre ad Adriano Olivetti, fino alla metà degli anni '50 un ruolo rilevante è svolto da Franco Momigliano, responsabile delle Relazioni interne, che funge da membro di collegamento tra la parte elettiva e quella nominata.
Nel primo decennio di attività il CdG, in seduta plenaria o attraverso commissioni, affronta vari temi di organizzazione del lavoro, di programmazione produttiva, condizioni di lavoro negli stabilimenti. Non mancano i contrasti, come nel caso di lamentele per la non sempre sufficiente e tempestiva informazione fornita dall'Azienda o come nel caso del Giornale di fabbrica, pubblicato dal CdG a partire dal 1949: avrebbe dovuto essere espressione di tutte le parti interessate, ma dopo accese discussioni sulla composizione del comitato di redazione, risultando impossibile l'unanimità dei consensi, cessa la pubblicazione nel corso del 1951.
In altri casi l'azione del CdG appare più efficace; tra i successi si ricorda l'accordo del 1955 con la Direzione aziendale per la riduzione dell'orario di lavoro (da 48 a 45 ore settimanali, primo caso in Italia), attuata a parità di retribuzione. Anche il tema della partecipazione dei lavoratori agli utili trova uno sbocco positivo: Adriano Olivetti accoglie le richieste e nel 1958 accorda un premio ai dipendenti per un importo totale pari al 58% degli utili di bilancio. Ma la decisione non soddisfa il CdA dell'Olivetti che a ottobre estromette Adriano Olivetti dalla carica di presidente, accantona un progetto di azionariato operaio e taglia il budget per i servizi sociali di 250 milioni di lire.
Il campo in cui si concentra in modo più efficace l'azione del CdG, nei limiti dei suoi poteri, è comunque quello dei servizi sociali. Spetta al CdG il merito di aver definito nel 1949 una "Carta assistenziale" che senza mezzi termini afferma il principio secondo cui i servizi sociali non sono una concessione del padrone, ma un diritto dei dipendenti dell'impresa.
La qualità e quantità dei servizi offerti dalla Olivetti in quegli anni è elevata e quindi con il passare del tempo le delibere del CdG in questo campo, per quanto sempre attente ai problemi reali, diventano routine; d'altra parte al CdG compete solo la ripartizione del bilancio annualmente fissato dall'Azienda, che decide liberamente anche sulle modalità di funzionamento dei servizi. A partire dagli anni '60 questa situazione induce la Pe a chiedere in modo pressante modifiche dello Statuto per affidare al CdG più poteri nello stanziamento del budget e nella gestione dei servizi; ma la Direzione aziendale respinge sistematicamente queste richieste.
Nel 1955 la costituzione di Comunità di fabbrica (poi Autonomia aziendale), il sindacato legato al Movimento Comunità, crea forti tensioni nel sistema delle relazioni industriali, con inevitabili ricadute sugli equilibri interni del CdG. Dopo la morte di Adriano Olivetti (1960) e nel mutato clima socio-politico nazionale dei primi anni '60 le divisioni interne al CdG si accentuano.
Nel 1963 lo Statuto viene modificato per introdurre la rappresentanza proporzionale, a vantaggio della parte operaia. Nuove richieste di modifica dello Statuto sono avanzate nel 1965 al fine di dare maggior peso alle rappresentanze sindacali. Roberto Olivetti, in quel momento neo-presidente del CdG, con un alto discorso richiama tutti all'unità e di fatto respinge la sindacalizzazione del CdG.
Ma il clima sta cambiando; anche se in Olivetti i rapporti sindacati-impresa non sono tesi come in altre grandi imprese, la rivoluzione sessantottina, il "biennio rosso" sindacale del 1968-69 e lo Statuto dei Lavoratori del 1970 spingono sempre più il CdG ad operare come luogo di rivendicazione e contrattazione. Il dialogo tra le parti non viene meno, ma il 5 aprile 1971 di comune accordo - non per decisione unilaterale - si decide di mettere fine all'esperienza del CdG, sostituito da commissioni bilaterali per i servizi sociali.
Una palestra capace di educare al confronto democratico
Il Cdg dell'Olivetti rappresenta un caso unico in Italia, se non altro per la durata - oltre 23 anni - della sua attività.
E' stata un'esperienza preziosa, giustamente definita "avanzata, ma non troppo" perché faceva i conti con la realtà socio-politica di quegli anni.
Non ha avuto una rivoluzionaria funzione di cogestione, come in certi paesi del centro-nord Europa; non ha inciso profondamente sulle strategie aziendali (in molti casi non è stato neppure consultato dalla Direzione aziendale); le sue iniziative non di rado sono state bloccate dalle divisioni interne o dall'eccesso di regolamentazione.
Ma nel complesso il CdG si è rivelato un organo vitale, grazie anche allo stile del management olivettiano; ha operato come laboratorio di sperimentazione sociale e partecipativa, è stato una palestra politica, ha avuto un importante ruolo di educazione al confronto democratico; è stato una scuola di alto livello per quadri sindacali e aziendali, per politici e amministratori locali, anche in virtù del diretto o indiretto coinvolgimento di tanti intellettuali di primissimo piano, come Musatti, Momigliano, Fortini, Volponi, Pampaloni, Gallino, Pizzorno, ecc. Senza contare l'assidua partecipazione di Adriano Olivetti che vedeva nel CdG un organo di cruciale importanza per fare della fabbrica una vera "comunità di lavoro".
Questo percorso è liberamente tratto da una ricerca di Stefano Musso, realizzata con il sostegno della Compagnia di San Paolo e pubblicata dal Mulino (Bologna, 2009) nella "Collana di Studi e Ricerche dell'Associazione Archivio Storico Olivetti" con il titolo "La partecipazione nell'impresa responsabile. Storia del Consiglio di gestione Olivetti".