AT&T: un partner strategico
Dopo l’annuncio dell’alleanza con l’AT&T (21 dicembre 1983) e la successiva approvazione dell’Assemblea degli Azionisti (14 marzo 1984), l’Olivetti apre il capitale sociale al partner americano e l’AT&T sottoscrive un aumento riservato di 100 milioni di azioni, corrispondenti al 25% circa del capitale sociale. Nelle casse della società di Ivrea arrivano 430 miliardi di lire (in quel momento è il maggiore investimento effettuato in Italia da una società straniera) e nel Consiglio di Amministrazione entrano cinque consiglieri designati dall’AT&T. La gestione operativa resta però in mano a Carlo De Benedetti e al management italiano.
Allo stesso tempo le due società si accordano per importanti forniture incrociate: l’Olivetti commercializzerà prodotti dell’AT&T, tra cui i minicomputer 3B basati su Unix. L’AT&T a sua volta si impegna ad acquistare dalla Olivetti nel corso del 1984 prodotti per 250 milioni di dollari. L’intesa iniziale in seguito viene rafforzata con accordi per un piano di forniture pluriennali.
Nell’interscambio tra le due società ha un ruolo importante il nuovo personal computer Olivetti M24, presentato a marzo ’84 alla Fiera di Hannover. Questo PC sarà venduto negli Stati Uniti con il marchio AT&T e con la sigla PC 6300.
Grazie alle forniture al partner americano, che nel 1986 superano le 200mila unità, la produzione di PC dell’Olivetti raggiunge quasi il mezzo milione di unità annue e la società diventa il terzo produttore mondiale (primo europeo).
Le ricadute positive dell’alleanza
Per l’Olivetti i vantaggi più immediati e visibili dell’alleanza sono di natura finanziaria (una rilevante iniezione di capitale fresco) e commerciale (apertura di un nuovo canale di vendita, che consente un salto di qualità nella presenza sul difficile mercato americano).
A questi vantaggi si aggiungono quelli, meno evidenti, ma egualmente importanti, rappresentati da:
- maggior credibilità acquistata sul mercato mondiale;
- ampliamento della gamma di prodotti offerti in Europa;
- saturazione degli impianti industriali;
- accesso al know-how tecnologico dei grandi laboratori Bell;
- miglioramento della qualità, indispensabile per superare i rigorosi controlli sulle forniture al partner americano;
- maggior impegno e trasparenza nella gestione contabile e nel reporting per soddisfare le esigenze di un azionista abituato ai tempi, modi e ritmi dei mercati finanziari americani.
Anche l’AT&T ottiene importanti vantaggi: la possibilità di presentarsi nel settore informatico con un PC che in quel momento offre un eccellente rapporto prezzo/prestazioni; l’accesso al mercato europeo e in generale una grande opportunità di internazionalizzazione; il confronto con la cultura Olivetti abituata ad operare in condizioni di forte concorrenza e quindi molto attenta ai costi, ai tempi di sviluppo dei nuovi prodotti e alla traduzione del know-how tecnologico in opportunità di mercato. Nei numerosi team di lavoro congiunto costituiti per le diverse aree di attività nei primi anni di vita dell’alleanza, le idee e le proposte avanzate dai tecnici e manager dell’Olivetti spesso si rivelano vincenti.
I punti deboli dell’alleanza
Con il passare del tempo l’alleanza mostra tre principali aree di criticità.
a) La difficoltà di integrare culture diverse. Nei rapporti tra le due società non pesa tanto la diversità delle dimensioni e del core business, quanto la difficoltà dell’AT&T, abituata al monopolio e organizzata con strutture mastodontiche e processi ridondanti, di adeguarsi al livello dei costi e alla rapidità decisionale richiesti da un mercato competitivo come quello informatico.
b) La mancata integrazione tra l’informatica dell’Olivetti e le telecomunicazioni dell’AT&T. Contrariamente alle attese degli analisti che prospettavano una rapida convergenza tra la progettazione delle centraline telefoniche (PABX) dell’AT&T e i computer dell’Olivetti, le due linee di prodotto rimangono ben distinte. Alla convergenza tecnologica, infatti, non si affianca la necessaria convergenza nella cultura aziendale, nello stile di management, nella visione del mercato delle due società. I PABX dell’AT&T sono sviluppati con tecnologie e costi accettabili in regime di monopolio, ma improponibili in un contesto di mercato concorrenziale; ciononostante gli americani sono poco propensi a cambiare rotta.
c) L’insufficiente cooperazione nello sviluppo dei nuovi prodotti. L’Olivetti, responsabile per lo sviluppo dei PC, dopo il successo dell’M24 non ottiene dall’AT&T alcuna collaborazione realmente utile per lo sviluppo dei successivi modelli. Nei minicomputer l’AT&T offre la linea 3B, commercializzata anche dall’Olivetti, che però nella sua offerta ha anche i sistemi della Linea 1 da poco lanciati sul mercato. L’accordo tra le due società prevede lo sviluppo di un’offerta sistemistica congiunta, ma contrasti e incertezze del management allungano i tempi delle decisioni, rese più difficili anche dall’incerta strategia con cui AT&T cerca di imporre il sistema operativo Unix System V come standard di mercato. Alla fine l’Olivetti sviluppa per conto suo una nuova linea di minicomputer e nel 1986-87 presenta i sistemi della Linea 2 basata su Motorola.
La parabola di un’alleanza strategica
Dopo tre anni di alleanza, i risultati ottenuti dalle due società sono molto positivi, ma non tali da consentire all’AT&T di competere nell’informatica alla pari con l’IBM e gli altri leader del settore.
Gli americani cominciano a ipotizzare nuove acquisizioni e rivolgono le loro attenzioni a NCR, che però rappresenta un “doppione” dell’Olivetti. Verso il 1988 si fa strada l’idea di creare una holding per l’informatica in cui confluiscano l’Olivetti e la Data Systems Group, divisione informatica dell’AT&T guidata da Vittorio Cassoni, manager dell’Olivetti “prestato” al partner americano.
Questa soluzione di fatto richiede che l’AT&T acquisisca il controllo di Olivetti e che quindi la società italiana perda la sua autonomia operativa. Per gli azionisti dell’Olivetti l’offerta americana in termini economici è allettante, ma quando l’operazione sembra prossima alla conclusione, Carlo De Benedetti preferisce salvaguardare l’indipendenza della società italiana e rinuncia alla vendita. Nel giugno 1988 Cassoni lascia l’AT&T e rientra in Olivetti come amministratore delegato.
L’alleanza tra le due società si incrina e l’AT&T decide di uscire dal capitale Olivetti. Per evitare di deprimere le quotazioni con la vendita sul mercato delle azioni possedute da AT&T, i CEO delle due società, Carlo De Benedetti e Bob Allen (subentrato a James Olson nel 1985), si accordano per un concambio tra azioni Olivetti e azioni CIR. Nel luglio 1989 gli americani cedono il loro pacchetto di azioni alla CIR, che in questo modo porta al 40% circa la sua quota in Olivetti; allo stesso tempo l’AT&T viene pagata in azioni della CIR.
La fine dell’intesa AT&T-Olivetti diventa ancora più esplicita nel 1991, quando gli americani lanciano un’OPA da 7,5 miliardi di dollari e acquisiscono la NCR; operazione che poi si rivelerà fallimentare per l’incapacità di AT&T di muoversi nel difficile e competitivo mondo dell’informatica.