I movimenti ambientalisti e la legislazione a tutela dell'ambiente
A livello mondiale è solo negli anni '70 che il problema dell'inquinamento prodotto dallo sviluppo industriale assume una notevole rilevanza politica e sociale.
Contribuisce a richiamare l'attenzione su questo tema il rapporto su I limiti dello sviluppo, pubblicato dal Club di Roma nel 1972 e accolto dovunque con grande interesse. Nello stesso anno nasce in Australia il primo "partito verde", il cui esempio è seguito nel 1973 da un partito britannico e quindi da altri partiti nel Nord Europa (in Italia il primo partito verde è del 1985). In questo modo la tutela dell'ambiente e la lotta contro l'inquinamento, in precedenza portate avanti da movimenti e associazioni private, diventano un tema ricorrente del dibattito politico ed economico anche a livello parlamentare.
Non ci si deve stupire, quindi, se in Italia nel gennaio 1972, quando una speciale Commissione del Senato presenta un primo rapporto sui problemi dell'inquinamento e propone alcune linee di intervento, ancora manca una legislazione sistematica per la tutela dell'ambiente.
La Commissione presenta tre documenti preliminari riguardanti la salvaguardia delle "zone umide", l'inquinamento da rifiuti solidi e l'inquinamento da rumore. Allo stesso tempo, però, il presidente della Commissione richiama l'attenzione sulle non poche difficoltà da superare per attivare una politica ecologica, fino ad allora praticamente inesistente: bisogna approfondire gli studi per individuare le soluzioni più appropriate, occorre reperire ingenti risorse finanziarie e risolvere il problema della mancanza di un quadro istituzionale che definisca la ripartizione dei compiti e delle responsabilità, in tema di tutela dell'ambiente naturale, tra enti centrali e amministrazioni locali.
Nonostante gli auspici della Commissione ci vorrà ancora molto tempo prima che in Italia venga introdotta un'ampia e articolata legislazione per la tutela ambientale.
Una politica aziendale contro l'inquinamento
In Olivetti fin dall'aprile 1970 è attiva una commissione che coordina tutti gli interventi aziendali nel settore dell'ecologia e che in particolare è incaricata di elaborare e proporre le linee principali di una politica ambientale.
Le prime proposte confluiscono in un piano riguardante gli scarichi delle acque, dei fumi e dei rifiuti solidi, mentre già sono allo studio soluzioni per ridurre la rumorosità negli ambienti di lavoro.
Nonostante le difficoltà dovute alla mancanza di precise norme a livello nazionale, il grande stabilimento di Scarmagno, non lontano da Ivrea, fin dal 1970 viene dotato di un impianto automatico di depurazione degli scarichi tecnologici e biologici. L'impianto, collocato vicino alla centrale termica, ha una cubatura di circa 8.000 mc ed è frutto di un investimento di 200 mln di lire (oltre € 1,6 mln del 2010); il costo annuale della gestione è di circa un milione di lire.
Questo impianto diviene un modello anche per gli altri impianti dell'Olivetti e già nel corso del 1972 ne viene messo a punto uno analogo nello stabilimento di Crema.
A Scarmagno gli scarichi tecnologici (le acque utilizzate nei processi produttivi) sono incanalati in distinte fognature che li conducono in vasche separate, così da poter effettuare un trattamento di depurazione con reagenti chimici opportunamente differenziati e dosati a seconda della sostanza inquinante contenuta. L'operazione è gestita e controllata elettronicamente. Dopo un processo di sedimentazione, le acque ormai completamente depurate, sono scaricate nella fognatura pubblica.
Per gli scarichi biologici (impianti igienici e sanitari) dello stabilimento di Scarmagno, dove esistono fosse di depurazione naturale, l'Olivetti costruisce un'apposita fognatura lunga 5 km con un costo di 250 mln di lire. A questa fognatura si allacciano anche i comuni limitrofi, che beneficiano così di un indubbio vantaggio igienico ed economico.
Gli stabilimenti di Crema e Marcianise, invece, vengono dotati di impianti di depurazione degli scarichi biologici azionati meccanicamente. Questi impianti sono i primi a essere installati da un'impresa in quelle aree.
Il controllo dei fumi è effettuato negli stabilimenti Olivetti in modo tale da garantire il rispetto dei valori indicati dalla legislazione anti-smog. In molti casi gli interventi decisi dall'impresa consentono di raggiungere risultati che vanno al di là di quanto prescritto dalle leggi vigenti in quel momento, come nel caso della centrale termica di Ivrea che tra il 1970 e il 1971 viene convertita da nafta a metano. Analoga conversione avviene in quegli stabilimenti (Massa e Marcianise) dove è possibile allacciarsi alla rete del metano della Snam.
Per eliminare il pericolo di emanazione di fumi e vapori nocivi, gli impianti Olivetti vengono dotati di adeguati depuratori. La società decide anche di abbandonare attività inquinanti come le fonderie di ghisa e le fusioni dell'alluminio: il metallo necessario per le lavorazioni arriva già fuso su appositi autocarri attrezzati provenienti da fonderie esterne. Per i forni ausiliari, come per le operazioni di verniciatura, si passa all'uso di combustibile gassoso (metano o propano) con netta riduzione dell'inquinamento.
Save our planet: una campagna internazionale per l'ambiente
All'inizio degli anni '70 l'Olivetti avvia dunque una politica aziendale molto attenta alla difesa dell'ambiente e alla riduzione di ogni forma di inquinamento, con interventi che oggi possono apparire scontati, ma che allora, decisi ben prima che una esplicita regolamentazione nazionale li rendesse obbligatori, costituivano una insolita manifestazione del senso di responsabilità socio-ambientale di un'impresa.
Sotto questo punto di vista, l'adesione dell'Olivetti a una campagna ecologica internazionale lanciata proprio in quegli anni dall'Unesco rappresenta un'altra significativa testimonianza. Il 16 settembre 1970 Arnold Glimcher della Pace Gallery di New York scrive a Gianluigi Gabetti, presidente della Olivetti Corporation of America, per chiedere di finanziare con 50.000 dollari la stampa di 2.000 copie di sei manifesti. Si tratta di opere attraverso cui sei artisti (Richard Buckminster Fuller, Georgia O'Keeffe, Roy Lichtenstein, Alexander Calder, Edward Steichen, Ernest Trova) lanciano un chiaro messaggio: il pianeta terra è in pericolo e dunque impegniamoci a salvare le città, l'aria, l'acqua, gli animali, le piante, l'uomo. L'Olivetti accetta la proposta della Pace Gallery e finanzia l'operazione.
Nel 1971 può così partire la campagna pubblicitaria Save our planet: 136 serie dei 6 manifesti, firmati dagli autori, sono consegnate ai 136 rappresentanti dei paesi aderenti all'ONU; le 2.000 copie realizzate grazie all'Olivetti sono invece messe in vendita e il ricavato viene utilizzato per sostenere alcuni progetti delle agenzie dell'ONU a favore dei paesi in via di sviluppo.
Le scelte dell'Olivetti qui ricordate vanno viste nel contesto del momento storico. All'inizio degli anni '70 - come si è detto - l'Italia sta appena iniziando a prendere coscienza dell'importanza della tutela ambientale ed è ancora priva di una precisa legislazione in materia. Dopo il '68 i movimenti ecologisti si diffondono, ma stentano a raccogliere il consenso di massa dell'opinione pubblica e non hanno una rappresentanza autonoma nel Parlamento (il primo "partito verde" italiano nascerà solo nel 1985).
Tra le imprese l'Olivetti è una delle primissime ad affrontare il problema del degrado ambientale e a prendere concrete misure sia per ridurre il livello di inquinamento dei propri stabilimenti, sia per sensibilizzare l'opinione pubblica su questo tema. Anche attraverso queste decisioni dei primi anni '70, prese in anticipo sugli obblighi di una normativa nazionale ancora carente, l'Olivetti manifesta in concreto la sua coerenza con l'immagine di impresa socialmente responsabile.
Il testo di questo percorso è in diverse parti liberamente tratto da un articolo pubblicato su Notizie Olivetti, Anno XIII - n. 3 - Aprile 1972