Nel 1948 l'uscita della corrente democristiana dalla CGIL segna la rottura dell'unità sindacale e nel 1950, la fondazione della CISL e della UIL rafforza il legame tra sindacati e partiti politici. Questa situazione favorisce negli anni '50 la nascita di vari sindacati aziendali autonomi; il caso più noto è forse quello dei lavoratori dell'auto alla FIAT che nel 1958, su iniziativa di Edoardo Arrighi e altri, lasciano la FIM-CISL e danno vita al SIDA. Questi sindacati, solitamente anti-comunisti e di orientamento moderato, sono appoggiati dalle direzioni aziendali, che vedono di buon occhio la nascita di strutture capaci di allentare la pressione sindacale. Spesso sono stati marchiati con il nome di "sindacato giallo" per sottolineare la connivenza con gli interessi padronali.
Anche in Olivetti nel 1955 nasce un sindacato aziendale, ma la sua storia presenta non poche singolarità.
L'ideale comunitario di Adriano Olivetti
Nel 1947 Adriano Olivetti dà vita al Movimento Comunità, un organismo culturale e politico che si propone di diffondere e tradurre in realizzazioni concrete l'ideale adrianeo di una società costruita sulla base di comunità territoriali, con il superamento dei partiti politici e della organizzazione verticistica e centralizzata dello Stato. Per Adriano la lotta di classe tra capitale e lavoro non è né utile, né inevitabile: può essere superata percorrendo una via politica - la terza via, quella comunitaria o social-liberale - alternativa al liberal-capitalismo e al social-comunismo. Nel mondo del lavoro si dovranno creare delle comunità di fabbrica che, strettamente legate e coordinate con la comunità territoriale, divengano organi di controllo e guida democratica dell'impresa.
Franco Ferrarotti, sociologo assai vicino ad Adriano, nel 1951 pubblica per il Movimento Comunità un libretto dal titolo Premesse al sindacalismo autonomo: contiene una forte critica al centralismo burocratico dei sindacati, divenuti cinghie di trasmissione dei partiti, sempre più lontani dai problemi e dagli interessi locali. Nel libretto si parla delle "comunità di fabbrica" che, in collegamento con la comunità locale, avrebbero dovuto prendere il posto dei sindacati tradizionali.
Queste idee lentamente maturano e si diffondono in Olivetti e nel Canavese, dove alla fine del 1954 in 72 dei 118 comuni è presente un centro comunitario.
La nascita di Comunità di Fabbrica
Il sindacato aziendale Olivetti nasce formalmente il 22 gennaio 1955, quando viene pubblicata la cosiddetta "Dichiarazione di Ivrea". Si doveva rinnovare la Commissione Interna della OMO (Officina Meccanica Olivetti), dove - ricorda Ugo Aluffi - si dava per scontato il successo della UIL. Ma in questo sindacato erano nate tensioni dovute a interferenze della federazione provinciale sulla struttura locale; il direttivo della UIL di Ivrea si dimise in blocco e decise di costituire una lista indipendente.
A questo punto - ricorda Aluffi - entrano in scena Giuseppe Roggero e Giovan Battista Martoglio, persone vicine ad Adriano, che appoggiano e orientano la nuova lista; quello che poteva sembrare un piccolo scontro locale assume in breve ben altra portata. Si muove anche Franco Ferrarotti che elabora una proposta di statuto o documento programmatico allineato con le idee di Adriano Olivetti sulla comunità concreta, realtà ritenuta incompatibile con strutture centralizzate come quelle dei sindacati tradizionali. Il documento descrive una organizzazione comunitaria articolata a livello locale e regionale, che nel mondo dell'industria si identifica con la Comunità di Fabbrica, struttura democratica e decentrata che si pone anche obiettivi di cogestione e partecipazione operaia al capitale (obiettivi questi poi prudenzialmente omessi nel documento finale).
Sul piano organizzativo, si stabilisce che in ogni reparto venga eletto dagli iscritti un certo numero di consiglieri; gli eletti formano la Comunità di Fabbrica, di cui fanno parte di diritto i membri di Commissione Interna e quelli del Consiglio di Gestione (organo paritetico di gestione dei servizi sociali aziendali). La Comunità di Fabbrica elegge un Direttivo, che a sua volta nomina il Presidente e il Segretario; questi sono responsabili anche dei collegamenti esterni, in quanto componenti della Comunità di Fabbrica del territorio.
Il nuovo organismo, che da aprile 1955 si rivolge ai lavoratori anche attraverso un periodico (Comunità di Fabbrica, che dal 1959 e fino al 1971 viene ribattezzato Autonomia Aziendale), incontra inizialmente la durissima opposizione - talvolta anche il boicottaggio - degli altri sindacati, che lo accusano di essere una struttura padronale. Ma il suo programma di rivendicazioni, basato su riduzioni di orario a parità di salario e su misure a favore del miglioramento della produttività (cottimo), incontra il favore dei lavoratori; alle elezioni della Commissione Interna del 1955 Comunità di Fabbrica, che poi si presenterà con la lista Autonomia Aziendale, ottiene 5 seggi su 13; di fatto sparisce la UIL e arretrano CGIL e CISL.
La trattativa con la direzione aziendale si conclude positivamente con l'impegno ad introdurre nel 1956 riduzioni di orario, prospettando la settimana lavorativa di 45 ore su 5 giorni. Anche se non risulta da documenti ufficiali, è probabile che Comunità di Fabbrica abbia preventivamente concordato con la direzione aziendale la richiesta di ridurre l'orario a parità di salario.
Il rapporto dialettico tra sindacato aziendale e sindacati tradizionali
Negli anni 1955-1959 Autonomia Aziendale ottiene nelle elezioni della Commissione Interna tra il 33% e il 59% dei voti, con punte del 70% tra gli impiegati. Il rapporto con CGIL e CISL non è conflittuale come nell'anno dell'esordio, ma varia a seconda del contesto economico e politico e dei temi rivendicativi.
I programmi di Autonomia Aziendale nel 1957 puntano a rivendicare riduzioni di orario, premi di produzione legati agli utili, distribuzione di azioni ai dipendenti, equiparazione salariale tra uomini e donne, progressi verso forme di cogestione. Ma su cogestione, partecipazione agli utili e azionariato operaio vi è un duro scontro soprattutto con la CGIL, che preme per rivendicazioni salariali senza compromessi con la gestione padronale. Nel 1959 i sindacati ottengono comunque un premio pari al 58% degli utili della Olivetti.
Ciò che maggiormente contraddistingue il sindacato aziendale è lo spirito indipendente, ma relativamente collaborativo con la direzione aziendale; non sempre Comunità di Fabbrica aderisce agli scioperi e spesso prende le distanze dai conflitti sindacali decisi a livello nazionale.
Nel 1958 le liste di Autonomia Aziendale subiscono una flessione; in quell'anno Adriano è eletto deputato, ma l'entrata in politica del Movimento Comunità al di fuori del Canavese non ha successo e indirettamente ne soffre anche il sindacato aziendale. Oltretutto in ottobre Adriano, su pressioni della famiglia, si dimette ed è temporaneamente sostituito da Giuseppe Pero; per Autonomia Aziendale viene a mancare un decisivo punto di appoggio.
Anche per questi motivi nel gennaio 1959 Comunità di Fabbrica stringe un accordo con la UIL: i gruppi sindacali del Canavese (presenti oltre che in Olivetti anche alla Rossari & Varzi, alla Chatillon, alla Manifattura di Cuorgné, Montecatini Miniere di Brosso, Società Alluminio di Borgofranco, Saccer di Castellamonte, ecc.), riuniti sotto la denominazione di Autonomia Aziendale, ottengono la delega a rappresentare la UIL nel Canavese; viene loro riconosciuto anche il diritto ad una presenza nel direttivo provinciale della UIL.
Con il ritorno di Adriano alla guida della Olivetti, il sindacato aziendale riprende quota e cerca di portare avanti il tema della cogestione, inviso a CGIL e CISL; probabilmente non è casuale che proprio negli ultimi mesi di vita Adriano stia studiando una nuova forma di governance dell'azienda, da affidare a una fondazione in cui ci sia una forte presenza dei lavoratori. Ma il progetto è bruscamente interrotto dall'improvvisa scomparsa di Adriano il 27 febbraio 1960.
Muta lo scenario e il sindacato autonomo "ritorna" alla UIL
Nel 1960 Autonomia Aziendale ottiene la maggioranza assoluta in Commissione Interna, ma la sua posizione ben presto subisce i contraccolpi di altri eventi. Nel 1961 il Movimento Comunità cessa di avere un ruolo socio-politico; la sua eredità prosegue solo sul piano culturale con la rivista e le Edizioni di Comunità e con la Fondazione Adriano Olivetti, costituita all'inizio del 1962.
Sempre nel 1962 il contratto nazionale dei metalmeccanici introduce la contrattazione integrativa aziendale, che di fatto riduce lo "spazio rivendicativo" proprio di Autonomia Aziendale.
Sono anni di boom economico e il rapporto di forza tra lavoro e capitale si sposta a favore del primo; la politica salariale dei sindacati tradizionali diventa molto aggressiva e mette in difficoltà Autonomia Aziendale che per difendere la sua credibilità deve in parte accantonare lo "spirito collaborativo" e in parte far leva su "tasti" diversi: i servizi sociali aziendali e i programmi del Consiglio di Gestione; le richieste di un supermercato a Ivrea e di contributi per la motorizzazione individuale dei lavoratori; la creazione (1963) di una "cassa di resistenza", che per ogni giorno di sciopero versa un contributo agli iscritti.
Vittore Vezzoli, che nel 1958 era subentrato a Giuseppe Roggero come Segretario di Autonomia Aziendale, negli anni '60 si trova a dover guidare una lenta marcia di avvicinamento al sindacato "tradizionale", marcia accelerata dalla crisi Olivetti del 1964-65 che porta all'ingresso di nuovi soci nel capitale sociale, alla cessione della Divisione Elettronica, alla cassa integrazione e a esuberi di forza lavoro.
Autonomia Aziendale formalmente mantiene la sua autonomia nel Canavese, ma dal 1965 di fatto rafforza la sua adesione alla UIL siglata nel 1959. Questo orientamento è motivato anche dal progressivo venir meno della presenza dei "comunitari" e degli ideali che avevano portato alla Comunità di Fabbrica. Franco Sassano, nel 1968 subentrato a Vittore Vezzoli, guida gli ultimi passi di Autonomia Aziendale verso la confluenza nella UIL, che si compie nel 1971.
Ben prima del 1971 il sindacato autonomo aveva comunque perso le sue specificità, legate all'ideale adrianeo di uno Stato basato su comunità territoriali e di fabbrica. La sua esperienza genuina era quindi durata pochi anni, ma come è successo per altre vicende della fabbrica di Ivrea si è trattato di un'esperienza singolare, oggetto ancora oggi di critiche e di apprezzamenti. In ogni caso, un'esperienza per nulla paragonabile a quella dei sindacati aziendali di altre grandi imprese.
Questo percorso si avvale anche di informazioni tratte dal volumetto di Pino Ferlito 50 di storia sindacale canavesana, edito dalla UIL, 2005