Nel 1959, dopo una breve trattativa, l’Olivetti con un investimento di 8,7 milioni di dollari ottiene il controllo della Underwood, società americana con una grande tradizione nel settore delle macchine per scrivere. L’acquisizione risponde ad un preciso obiettivo di Adriano Olivetti, che punta ad una solida presenza diretta sul mercato americano, ritenuto strategico ai fini dello sviluppo.
L’annuncio fa scalpore: la Underwood ha oltre 10 mila dipendenti, fattura quasi 76 milioni di dollari, dispone di una fitta rete commerciale ed è un nome prestigioso dell’industria americana, equivalente a quello della Singer nelle macchine per cucire o della Ford nelle auto. Stupisce che a conquistarla sia un’azienda italiana, con un’operazione che va in senso contrario rispetto ai rapporti di forza, economica e politica, tra i due Paesi; è quasi un segno di riscossa della “vecchia Europa” che coglie di sorpresa anche la stampa e l’opinione pubblica degli Stati Uniti.
Underwood: in difficoltà dopo una storia gloriosa
La Underwood era stata fondata nel 1874 come azienda fornitrice di carta carbone e nastri di stampa delle macchine per scrivere. Ma quando il principale cliente – la Remington – aveva iniziato a produrre in proprio questi accessori, la Underwood aveva deciso di diventare essa stessa costruttore di macchine. La svolta era avvenuta nel 1895 dopo l’incontro tra John T. Underwood e Franz X. Wagner, un immigrato tedesco che aveva sviluppato un suo brevetto di macchina per scrivere. Questa macchina, a differenza dei modelli allora in uso, consentiva al dattilografo di vedere ciò che digitava. Underwood aveva capito l’importanza dell’innovazione e aveva deciso di acquistare la piccola azienda di Wagner. Nel 1896 usciva sul mercato il primo modello, la Underwood 1, seguito nel 1900 dalla Underwood 2. Entrambe queste macchine (in tutto se ne produssero circa 12.000) sul retro portavano ancora il marchio “Wagner Typewriter Co.”. In breve, tutta l’industria delle macchine per scrivere adottò il sistema “a scrittura visibile”. Il modello più famoso della Underwood, la Undewood 5, uscito nel 1901, rimase in produzione per oltre trent’anni; nello stabilimento di Hartford (Connecticut) se ne produssero quasi 4 milioni. Nel 1908 Camillo Olivetti aveva avuto modo di visitare questo stabilimento che allora produceva 70.000 macchine all’anno, un livello che l’Olivetti avrebbe raggiunto solo quarant’anni più tardi. Ne era rimasto affascinato e quando il figlio Adriano nel 1925 era andato negli USA gli aveva caldamente raccomandato la visita; il giovane Adriano si era fermato qualche giorno ad Hartford, ma nonostante le insistenze il permesso di visita gli era stato negato.
La Underwood aveva toccato il culmine del suo successo negli anni ’30; ma dopo la guerra, la cattiva gestione, i contrasti interni e la mancanza dei necessari investimenti per ammodernare gli impianti avevano provocato grosse difficoltà finanziarie.
La rivincita di Adriano Olivetti
Per Adriano Olivetti l’occasione che si presenta nel corso del 1959 ha il sapore di una rivincita. In primavera Mr. Herbert Bertine, segretario dell’Underwood, viene in visita a Ivrea e chiede di acquistare un notevole quantitativo di macchine da calcolo Olivetti da rivendere con marchio Underwood. Inoltre la società ha in Val Trompia, nel bresciano, una piccola azienda frutto di un'iniziativa congiunta con la Beretta, dove si producono macchine per scrivere portatili per il mercato italiano. E’ una struttura modesta, non redditizia, e la Underwood sarebbe lieta di cederla. Le proposte americane lasciano perplessa l’Olivetti, che è invece orientata a entrare nel capitale Underwood. Le trattative vanno a rilento fino a settembre, quando Mr. Bertine fa sapere di aver preso contatti con la Monroe, importante produttore di macchine da calcolo collegato alla tedesca Olympia, per ottenere le forniture che l’Olivetti sembra negare.
A questo punto Adriano Olivetti rompe gli indugi. A fine settembre, con quasi tutto il vertice aziendale, si reca a New York, dove ha sede la Underwood. Oltre a Guido Lorenzotti, presidente della OCA (Olivetti Corporation of America), sono con lui il fratello Dino, direttore generale tecnico; il figlio Roberto, condirettore generale amministrativo; Giuseppe Pero, amministratore delegato; Ugo Galassi, direttore commerciale; Guido Treves, responsabile commerciale per l’estero; Luigi Gandi, esperto di produzioni meccaniche, e Gian Luigi Gabetti, esperto finanziario. Dovendo operare molto rapidamente, il gruppo si divide: Dino e Roberto Olivetti con Gandi vanno a Hartford a visitare lo stabilimento, Galassi e Treves si occupano della rete commerciale, Gabetti guarda i bilanci, mentre Adriano Olivetti e Pero hanno contatti con gli avvocati e il top management della Underwood.
Le visite e i colloqui mettono in luce vari problemi e la difficile situazione dell’azienda americana. Ma per Adriano Olivetti quello che conta è il valore del marchio e la capillare rete commerciale della Underwood. Il ricco mercato americano per l’Olivetti può diventare il “terzo pilastro” dello sviluppo, aggiungendosi al mercato interno e a quello estero.
Il 29 settembre l’ingegner Adriano presenta a Frank Beane, presidente della Underwood, la sua proposta e il 1° ottobre l’accordo è fatto. L’Olivetti acquista 405.000 azioni, pari al 35% circa del capitale sociale, al prezzo di $ 21,5, con un esborso di $ 8,7 milioni da versare in tre tranche tra ottobre 1959 e febbraio 1960. Nel Consiglio di Amministrazione della Underwood entrano, tra gli altri, Gabetti, Gandi, Treves, Rogers (responsabile delle relazioni esterne Olivetti) e Santi; Ugo Galassi è nominato presidente.
Luci ed ombre dell’acquisizione
In Italia la notizia dell’accordo è accolta con entusiasmo: è un nuovo, indiscutibile successo della Olivetti. Ma non tutte le speranze di sviluppo sul mercato americano si tradurranno in realtà.
Nel giugno 1960 la Underwood e la OCA si fondono, dando vita alla Olivetti Underwood, di cui la Olivetti detiene il 69%, quota che nel 1963 sale al 91%; le filiali estere della Underwood, escluso il Canada, sono integrate nelle varie consociate Olivetti. Ad Hartford nel 1961 inizia la produzione della Raphael, macchina per scrivere elettrica a spaziatura variabile, e della Forum; le vendite delle Divisumma negli USA salgono rapidamente, passando da 6.000 a 50.000 pezzi all’anno, ma con sacrificio dei prezzi e dei margini e con le limitazioni derivanti dalla direttiva americana che impone agli enti pubblici di acquistare almeno il 51% di prodotti nazionali.
L’impegno finanziario per risanare l’azienda americana è gravoso: nelle pieghe dei bilanci si scoprono nuove perdite, gli impianti sono fatiscenti e le ristrutturazioni risultano più onerose del previsto. Qualche anno più tardi l’Olivetti dichiarerà di aver speso per la Underwood 48 milioni di dollari, ma secondo certe analisi l’importo reale sarebbe vicino ai 100 milioni. Ciò anche a motivo della decisione di sviluppare negli USA una costosa strategia di vendita basata sulla rete diretta; strategia che aveva dato ottimi risultati in Italia, ma che era difficile da sostenere nel grande mercato americano.
Adriano Olivetti aveva compreso molto presto che l’acquisizione non sarebbe stata senza spine. Secondo il racconto di Renzo Zorzi, due giorni dopo la firma dell’accordo di New York, arrivato a Hartford per visitare il fatiscente stabilimento, l'ingegnere avrebbe esclamato: “Che impressione terribile! Se invece di starmene con gli avvocati fossi andato con gli ingegneri, mai e poi mai avrei dato il mio consenso all’operazione!”. In effetti, lo stabilimento di Hartford dovette essere chiuso non molti anni più tardi, nel giugno 1968, sostituito, alla fine del 1969, dal modernissimo stabilimento di Harrisburg (Pennsylvania), disegnato da Louis Kahn.
E’ opinione di molti che sotto la guida di Adriano Olivetti l’azienda eporediese, nonostante l'arretratezza degli impianti della Underwood, avrebbe comunque saputo trarre pieno vantaggio dall’acquisizione americana, che all’inizio degli anni ’60 rappresentava insieme al costoso impegno per la Divisione Elettronica il principale nodo da sciogliere per l’ulteriore sviluppo dell’Olivetti. Ma la storia andò in modo diverso: l’improvvisa morte di Adriano Olivetti, il 27 febbraio 1960, privò l’azienda del suo leader carismatico, creando quelle premesse che portarono alla cessione della Divisione Elettronica e a lunghi anni di sofferta presenza, tra alti e bassi, sul mercato americano.