Le prime gare di dattilografia
Il lungo processo che ha portato alla nascita della macchina per scrivere giunge a una svolta nel 1873, quando le officine Remington decidono di sfruttare commercialmente l’invenzione di una “writing machine” progettata da Christopher Latham Sholes.
Ci vogliono ancora tre anni per perfezionare il progetto ed allestire la produzione in serie, ma nel 1876 alla fiera di Filadelfia la Remington lancia sul mercato la prima macchina per scrivere. Macchina che non è priva di difetti, a cominciare dal problema della “scrittura cieca” (cioè del testo stampato non visibile dal dattilografo durante la battitura) a cui vent’anni dopo porrà rimedio la Underwood.
L’impiego della scrittura meccanica inizia comunque a diffondersi negli uffici, seppure con le difficoltà legate all’uso di una tastiera che richiede abilità manuali fino ad allora sconosciute.
A Cincinnati il 25 luglio 1888 un piccolo evento richiama l’attenzione del pubblico: Frank McGuerrin, impiegato di un ufficio legale, e Louis Traub, esperto istruttore di macchine per scrivere, si sfidano nella prima gara di dattilografia di cui si abbia memoria. McGuerrin, con una Remington a scrittura cieca, usa le 10 dita con un metodo da lui stesso elaborato. Traub, invece, scrive improvvisando e cercando ogni volta, come meglio gli capita, con questo o quel dito, il tasto giusto. Come era naturale, vince nettamente McGuerrin e prende piede l’idea che per scrivere bene a macchina si debba seguire un metodo.
Negli Stati Uniti ben presto le gare di dattilografia diventano una moda: si gareggia per vedere quale metodo è più efficace, per premiare il dattilografo più veloce o il più preciso o le due cose insieme. Si gareggia persino per vedere chi è il più resistente: nel 1905 a Chicago Emil Trefzger vince una gara scrivendo a macchina per tre ore consecutive al ritmo di 62 parole al minuto.
Agli inizi la dattilografia è un’attività prevalentemente maschile, ma ben presto le donne mostrano una maggiore abilità. Sempre nel 1905 in una gara a New York si registra la prima affermazione femminile; nello stesso anno Mary Sounders, forse la prima dattilografa della storia, riceve un premio per i suoi trent’anni di lavoro (quindi dal 1875) con la macchina per scrivere. Nel 1907 si tiene il primo campionato mondiale di dattilografia e la vittoria va a miss Rose Fritz che scrive al ritmo di 87 parole al minuto.
Anche l’Europa si appassiona alla scrittura meccanica: nel 1905 a Vienna Emma Weiss raggiunge la notevole velocità - con le macchine di quel tempo - di 452 battute al minuto; nel 1912 La Revue Dactylographique organizza una sfida tra l’americano Wiese, campione mondiale, e il campione francese Legris.
In Italia la prima gara si svolge nel 1900 a Milano. Nel 1907 a Venezia 13 concorrenti si sfidano in una serie di prove obbligatorie: vince Giuseppe Ventura, che in 3 minuti riesce a ripetere 39 volte la frase “Lasciate ogni speranza voi ch’entrate”.
Anche in Italia la dattilografia è destinata a diventare una professione al femminile. Quando nel 1908 a Roma si tiene un concorso internazionale con un centinaio di partecipanti, circa la metà sono donne e il principe Fabrizio Colonna aprendo la gara ha modo di dire: “La dattilografia è stata provvidenziale anche per la donna poiché le ha aperto la via negli uffici pubblici e privati. Tra breve anche in Italia avverrà quello che si è verificato in Inghilterra, dove la massima parte dei dattilografi appartiene al sesso gentile”.
“QWERTY”, ovvero la tastiera standard
Nelle prime gare i fattori vincenti sono il metodo e l’abilità manuale del dattilografo, ma ben presto emerge l’importanza di altri fattori, a cominciare dalla qualità della macchina usata e in particolare della tastiera.
Già intorno al 1860 Giuseppe Ravizza, inventore del cembalo scrivano, uno dei tanti prototipi che hanno preceduto la writing machine di Sholes, annotava: “sono necessitato ad abbandonare l’ordine alfabetico dei tasti (nelle prime versioni del cembalo la sequenza dei tasti andava dalla “a” alla “z”) il quale mi obbliga a un moto delle dita saltuario e ad una celerità da tartaruga; vedo bene che è necessario mettere le vocali in mezzo, onde siano alla portata dei diti più attivi”.
Per la tastiera della “sua” Remington, Sholes si era ispirato all’ordine con cui i tipografi disponevano le varie cassette da cui prelevare i caratteri per la composizione del testo. Un altro criterio era stato quello di disperdere le lettere più usate nel vocabolario inglese – e, t, a, o, n, r, i, s – tenendole lontane tra loro per ridurre la probabilità che due martelletti portacarattere battuti in rapida sequenza si accavallassero, obbligando il dattilografo a fermarsi e a smuoverli manualmente. Il risultato di queste valutazioni fu la tastiera QWERTY, dalla sequenza dei primi 6 tasti della prima riga alfabetica.
Nella prima macchina Olivetti – la M1, uscita sul mercato nel 1911 – la A sostituisce la Q e la Z prende il posto della W, formando la sequenza AZERTY, usata anche in Francia. Veniva però lasciata al cliente la possibilità di richiedere una diversa disposizione dei tasti. Quando la M20 sostituisce la M1, l’Olivetti, pur lasciando al cliente altre opzioni, passa alla tastiera QZERTY, che rimarrà invariata per tutte le successive macchine per il mercato italiano. Solo nei computer, la tastiera Olivetti adotterà lo schema QWERTY.
In sostanza, la tastiera della prima Remington, con qualche variazione per le diverse lingue, si afferma in tutto il mondo e rimane ancora oggi lo standard indiscusso, nonostante vari studi ergonomici abbiano dimostrato che la disposizione QWERTY non è la più razionale: varie lettere molto usate si trovano sul lato sinistro della tastiera, il pollice è poco utilizzato, il mignolo che è il dito più debole ha compiti onerosi...
Già intorno al 1930 un docente di statistica dell’Università di Washington, August Dvorak, aveva proposto una tastiera che poneva al centro le lettere più usate. Alcuni dattilografi dimostrarono che in questo modo si poteva scrivere più rapidamente, ma le prove fatte non bastarono per modificare lo standard QWERTY.
Analoga sorte toccò intorno al 1980 alla proposta di un team inglese che aveva studiato una rivoluzionaria tastiera (Maltron system) che distribuiva in vari raggruppamenti di tasti le lettere più frequentemente presenti in una stessa parola. Prove pratiche dimostrarono che in un testo di un milione di parole le dita del dattilografo dovevano “saltare” da una fila di tasti all’altra 82.000 volte con il QWERTY e solo 320 volte con il Maltron. Ma ormai era troppo tardi per modificare uno standard di fatto adottato da tutti i produttori e consolidato da milioni di utenti sul mercato mondiale.
Non ebbe migliore sorte neppure lo studio di alcuni tecnici dell’IBM che nel 1978 avevano proposto una piccola tastiera da usarsi con una sola mano, dove il pollice lavorava su uno specifico settore, formato da 4 tasti rettangolari, e tre dita sull’altro settore della tastiera, composto da 10 tasti quadrati. La forma particolare dei tasti consentiva di ottenere la stampa di caratteri o persino sillabe diverse a seconda del modo con cui il dito esercitava la pressione. Per quanto ingegnosa e semplice da produrre, anche questa tastiera non ebbe seguito.
Con le macchine elettriche nuove performance dattilografiche
Standardizzata la tastiera fin dall’inizio del Novecento, la competizione tra le macchine per scrivere si concentra su altri aspetti: facilità e leggerezza della battuta diventano un fattore importante per alleviare – in termini di fatica e di tempo – il lavoro del dattilografo.
Sotto questo punto di vista un salto di qualità si compie con la diffusione delle macchine elettriche (la prima Olivetti è la Lexikon elettrica del 1950), dove l’aiuto di un motorino garantisce una battitura uniforme e regolare senza dover premere fino in fondo il tasto. Così, i risultati delle gare, che tra il 1950 e il 1980 si moltiplicano dovunque (viene persino istituito un campionato mondiale con cadenza biennale), registrano performance eccezionali rispetto al passato.
Notizie Olivetti nel 1954 informa che “Piera Bollito vince con 560 battute al minuto” una gara che si è svolta a Ivrea. A Torino nel 1960 Mirella Arri Mossotti realizza in 10 minuti 6.100 battute con errori inferiori all’1%: è un nuovo record mondiale, per la prima volta superiore alle 600 battute al minuto, ottenuto con una Lexikon elettrica. Con la stessa macchina nel 1965 la turca Ece Ozbayrac vince a Parigi una gara internazionale di precisione realizzando 5.370 battute in 10 minuti senza commettere neanche un errore. Nel 1967 al campionato nazionale di Montecatini Vera Inaudi usando una Olivetti Tekne 3 realizza 17.280 battute in 30 minuti, alla velocità di 576 battute al minuto con soli 43 errori. L’anno successivo la dattilografa si migliora e vince nuovamente con 18.915 battute, superando le 600 battute nette al minuto.
Le gare diventano un’occasione per promuovere anche il costruttore delle macchine e Notizie Olivetti non manca di affermare, nel titolo di un articolo, che il campione di dattilografia del 1981 “corre” su Olivetti…
Un’altra via per promuovere l’uso della macchina per scrivere è l’attivazione di corsi di “iniziazione” alla dattilografia presso le scuole elementari e medie. Negli anni ‘50 l’Olivetti stringe accordi con varie direzioni didattiche e mette a disposizione le Lettera 22 (e negli anni '60 le Lettera 32) necessarie per i corsi. Anche con gli istituti professionali che organizzano corsi di dattilografia l’Azienda si accorda per fornire le Lexikon 80, manuali o elettriche, e più tardi le Tekne 3. [La lettera 32 a scuola - spot Olivetti su: www.youtube.com/watch ]
Diviene così sempre più familiare in tutti gli ambienti l’uso della tastiera e della scrittura meccanica.
Con l’avvento del personal computer la dattilografia, prima riservata a persone dedicate a questo specifico lavoro, diventa una componente diffusa del lavoro d’ufficio: chiunque usi il computer deve anche saper scrivere con la tastiera.
Scema l’interesse per i metodi e i corsi di dattilografia; e dal punto di vista dell’ergonomia scema anche l’attenzione per la forma e disposizione dei tasti, ormai pressoché standardizzati, e per altri aspetti fisico-meccanici della macchina per scrivere o del computer. Cresce invece l’attenzione per la conformazione del posto di lavoro, la seduta, gli appoggi per le braccia, la distanza e l’inclinazione della tastiera e del video...
Tutti aspetti, questi ultimi, presi in considerazione dai progettisti non tanto per migliorare le prestazioni dei dattilografi, quanto per rendere meno faticoso il lavoro di chi passa molte ore di fronte allo schermo e alla tastiera del suo computer.