Un aspetto caratteristico dello ‘stile Olivetti’ è stato quello della varietà nell’unità. Nel design industriale come nelle architetture e nella grafica pubblicitaria, in Olivetti hanno operato tanti autori, ciascuno nel suo tempo e con il suo stile; ma quasi per magia questa varietà di autori e stili dava vita a un’immagine aziendale unitaria.
Una magia che scaturiva da due principali fattori. In Olivetti la comunicazione dell’immagine non era una sovrastruttura calata sulla realtà, ma era piuttosto la rappresentazione reale del modo di essere impresa. E poi l’eccellenza di architetti e designer, sostanzialmente lasciati liberi di esprimere la loro creatività, garantiva risultati che erano un concentrato di bellezza e innovazione. Di qui uno stile e una immagine aziendale nitida, sempre ben riconoscibile (una bella società…).
In altri termini, la forte presenza nell’agire aziendale – soprattutto negli anni ’50 e ’60 – di innovazione e libertà creativa, di bellezza e cultura, di partecipazione e socialità, contrassegnava l’immagine aziendale a un punto tale da rendere forse superflue specifiche azioni per definire la corporate identity.
Ma con il rapido sviluppo di quegli anni, con l’ingresso in un numero crescente di mercati e l’ampliamento della gamma dei prodotti, la situazione cambia e la 'libertà creativa' rischia di non essere più in grado di rendere sempre riconoscibile l’identità aziendale.
Come usare il logo e come marcare documenti e oggetti
Alla fine degli anni '60 la Direzione Relazioni Culturali, Disegno industriale e Pubblicità, guidata da Renzo Zorzi, ritiene perciò necessario intervenire in queste due direzioni:
- formalizzare il logotipo Olivetti, che negli anni precedenti aveva subito varie modifiche più per iniziativa personale dei grafici che per decisione condivisa;
- definire con un manuale operativo le norme per l’uso del logotipo e per la marcatura di documenti, corrispondenza, veicoli, imballaggi, prodotti, ecc.
L'incarico per il logotipo è affidato a Walter Ballmer, che nel 1970 presenta il risultato del suo lavoro: una efficace accentuazione del carattere disegnato nel 1960 da Giovanni Pintori. L’uso di questo logotipo in Olivetti diviene obbligatorio a partire dal 1971, quando esce il volumetto Segno e disegno di una firma, curato dallo stesso Ballmer con testi di Franco Fortini.
Il secondo incarico è affidato a Hans von Klier, in quegli anni responsabile della Corporate Image; con lui collaborano Clino Trini Castelli, quale Design coordinator, e Perry A. King. Il progetto, che si protrae dal 1971 al 1977, si avvale anche delle consulenze esterne della Unimark International e del Contact Studio e si conclude con la pubblicazione dei Sistemi di identificazione, manuali oggi comunemente noti come i Libri Rossi. Si tratta di 10 fascicoli, ciascuno con una copertina rossa, posti in due grandi raccoglitori ad anelli, anche questi con la copertina di colore rosso.
Ogni fascicolo, dedicato ad una precisa tematica, contiene una introduzione che oltre a descrivere i contenuti e le prescrizioni d'uso, sono delle brevissime lezioni sui singoli argomenti. Chiarezza e precisione di queste introduzioni, scritte in italiano e in inglese, aiutano a comprendere il ruolo e l’importanza dei singoli temi all'interno del progetto complessivo.
Il raccoglitore A contiene questi fascicoli, così numerati:
2 - Elementi Base, LOGOTIPO;
6 - Identificazione Prodotti, IMBALLI DI SPEDIZIONE;
7 - Identificazione Prodotti, IMBALLI PER ACCESSORI;
8 - Identificazione Stampati, CORRISPONDENZA;
11 - Identificazione mezzi di trasporto, AUTOVEICOLI.
Nel raccoglitore B si trovano invece questi fascicoli:
5 - Identificazione Stampati, MANUALISTICA;
9 - Identificazione Stampati, MODULISTICA;
10 - Identificazione Stampati, FORNITURE PER UFFICIO;
12 - Identificazione Ambienti, INSEGNE;
14 - Pubblicità Istituzionale, LUMINOSE.
Dieci fascicoli, dunque, la cui numerazione e collocazione lascia intendere che vennero pubblicati man mano che divenivano disponibili e che forse non esaurivano quanto previsto dal progetto iniziale.
Un momento di rottura con il passato…
Ogni fascicolo in relazione al tema trattato ha in sé una sorprendente compiutezza e dettaglio di analisi, come si può intuire anche dalle immagini della fotogallery di questo percorso. Per contro, come scrive Caterina Cristina Fiorentino in una sua ricerca, “la necessità di redigere un manuale operativo, quindi di portare a norma e di rendere ineccepibile la riproduzione e l'applicazione del sistema identificativo, non lascia, di per sé, autonomia nella redazione del repertorio di alcuni artefatti comunicativi; né, tanto meno, libera, la stessa redazione dei Libri Rossi, da un linguaggio tecnico e normativo”.
In questo senso i Libri Rossi rappresentano un momento di rottura rispetto alla storia olivettiana. A questo riguardo scrive Enrico Morteo: “Se la raffinatezza del progetto indica come sia stata conservata una straordinaria attenzione ai problemi di immagine e alla ricerca grafica, la rigidezza prescrittiva dell'impianto evidenzia con precisione l'indirizzo di una strategia che par volere trovare i propri obiettivi nella stabilità e non nell'evoluzione”.
A prima vista sembrerebbe dunque che con i Libri Rossi l’Olivetti tradisce il suo stile di libertà creativa. Ma occorre considerare gli straordinari cambiamenti che l’Azienda si trova ad affrontare in quegli anni: nel 1960 è venuta meno la guida carismatica di Adriano; nel 1964 il trauma della cessione della divisione elettronica agli americani della General Electric, il cambio della leadership interna e l’illusione di poter continuare a crescere con la sola tecnologia meccanica; più tardi, la nuova, affannosa rincorsa verso l’elettronica che rivoluziona il quieto mondo del lavoro d’ufficio in cui l’Olivetti era abituata a raccogliere allori e profitti con i suoi prodotti meccanici.
L’intensità di questi cambiamenti implica instabilità e forse è questo il motivo per cui in Olivetti si sente il bisogno di fissare alcuni punti fermi. Architetti e designer continuano a godere di grande libertà nella costruzione di stabilimenti e impianti, nel design dei prodotti, nella grafica pubblicitaria; non così per tutto ciò che attiene più specificamente alla corporate identity.
…o una evoluzione forzata dal mutato scenario?
Di fronte ai mutamenti dello scenario, l’Olivetti decide di porre un freno all’autonomia decisionale di ogni ente aziendale e fissa le regole che devono rendere riconoscibile dovunque nel mondo non solo il logotipo, ma anche una lettera, un documento, un imballaggio, un manuale, un’insegna o un mezzo di trasporto dell’Azienda. Qualcosa di analogo avviene in quegli anni anche nel campo del progetto dei prodotti. L’ampia libertà d’azione lasciata ai progettisti e ricercatori, alla loro creatività e spirito di iniziativa, dal 1972 deve confrontarsi (e talvolta scontrarsi) con gli indirizzi stabiliti dal product planning, funzione aziendale affidata con ampi poteri a Marisa Bellisario.
Il manuale operativo dei Libri Rossi, così come il ruolo di rilievo assegnato al product planning, sono aspetti di un processo di “strisciante normalizzazione” dell’azienda Olivetti. La rapidità e intensità dei cambiamenti del mondo esterno, insieme all’accresciuta e molto articolata dimensione aziendale, contribuiscono a rendere meno praticabile il modello d’impresa che tanto successo aveva riscosso con Adriano Olivetti. Le esigenze di normare, razionalizzare, organizzare e programmare riducono poco per volta gli spazi lasciati alla intraprendenza e genialità dei singoli.
Caterina Cristina Fiorentino giustamente osserva che la stesura di un manuale operativo di corporate identity, qual sono i Libri Rossi, non poteva essere affidata a un intellettuale come Franco Fortini o a un poeta come Giovanni Giudici. Ma ciò non toglie – continua la Fiorentino – che nei Libri Rossi vi siano anche importanti elementi di continuità con il passato della Olivetti.
Innanzi tutto l’eccellenza grafica e di contenuto di questo manuale, che ancora oggi merita di essere consultato e studiato da chiunque si interessi di corporate identity. E poi l’apertura al futuro, perché nonostante il linguaggio prescrittivo, si presenta come un manuale “pensato per poter essere, secondo necessità, aggiornato e ampliato”; un manuale realizzato con l’intenzione di rendere tutti gli olivettiani partecipi della propria immagine, progettato per essere condiviso e non ad uso esclusivo degli uffici competenti. Tutti aspetti, questi, che si inseriscono molto bene nella tradizione olivettiana e che consentono di affermare che i Libri Rossi non rappresentano un taglio netto con il passato, ma sono espressione di quel carattere dell’Azienda che Fortini nel 1971 descriveva come la capacità di “mutare senza mai perdere di vista i valori di un nucleo originario”.
È difficile valutare quanto i Libri Rossi abbiano contribuito a perpetuare nel tempo l’immagine della Olivetti adrianea. Si può però ricordare che nel 1993-94 la Direzione Corporate Image riteneva opportuno mettere a punto, nell’ambito dell’Olivetti Corporate Identity Programme che coinvolgeva ampiamente gli enti aziendali, i cosiddetti Libri Verdi, che aggiornavano e integravano i Libri Rossi. Articolati in otto fascicoli (Logotipo, Corrispondenza, Targhe di identificazione, Autoveicoli, Documentazione aziendale, Imballi di spedizione, Packaging promozionale, Concessionari), i Libri Verdi davano la misura di quanta attenzione si continuasse a dedicare al delicato tema della corporate identity anche in tempi per l’Olivetti divenuti assai difficili.
Il testo di questo percorso si avvale liberamente anche della ricerca di Caterina Cristina Fiorentino “Millesimo di millimetro. I segni del codice visivo Olivetti 1908-1978”, pubblicata nella Collana di Studi e Ricerche dell’Associazione Archivio Storico Olivetti dal Mulino, Bologna, 2014. La citazione di Enrico Morteo è tratta da “Istruzioni per l’uso”, in AA.VV. “Olivetti: una bella società”, edizioni U. Allemandi & C., Torino, 2008.