I primi passi dell’ergonomia
Fino alla metà del secolo scorso nelle imprese industriali generalmente prevaleva l’approccio tayloristico: le fasi del processo produttivo erano suddivise in operazioni elementari allo scopo di consentire la massima efficienza del lavoro. All’operaio si chiedevano pochi gesti semplici, da ripetere in continuazione e con grande rapidità. Era la macchina che dettava i tempi e i modi del lavoro; era l’uomo che doveva adattarsi alla macchina, e non viceversa.
Ma con lo sviluppo di macchinari sempre più complessi e automatizzati e con il ruolo sempre più ampio svolto dal lavoro d’ufficio, che poco si presta alla logica del taylorismo, il rapporto uomo-macchina, o meglio, uomo-ambiente di lavoro, subisce un cambiamento.
Negli anni ’40, negli Stati Uniti si comincia a parlare di human engineering e di rapporto tra l’uomo e la macchina: sono i primi passi dell’ergonomia. Non è più la tecnologia da sola che determina i modi del lavoro; occorre considerare anche le capacità e le necessità dei lavoratori, ciascuno dei quali ha caratteristiche fisiche, resistenza alla fatica, livelli culturali e competenze professionali diverse.
Inizia così un cambiamento importante nell’organizzazione del lavoro e anche nel design delle macchine.
Una svolta per il progetto e il design
Ai progettisti e ai designer vengono chieste nuove competenze. Non ci si accontenta più dell’eccellenza tecnologica e dell’eleganza formale: il disegno, la forma della macchina, deve tenere conto, oltre che della funzione a cui è destinata, anche della persona che la utilizzerà.
Si riducono perciò i gradi di libertà del designer: la sua creatività deve fare i conti con nuovi vincoli, perché la forma deve essere compatibile nel miglior modo possibile con vari parametri e misurazioni riguardanti la fisiologia della mano o della spina dorsale, della vista, dell’udito, ecc.
Accanto al designer nasce la figura dell’ergonomo, che con un approccio interdisciplinare studia e misura il comportamento e le reazioni dell’uomo nei confronti del proprio lavoro; entrano in gioco conoscenze di fisiologia, psicologia, antropometria, biomeccanica.
Come scrive Renzo Zorzi, il designer “da artista della forma, quale quasi sempre era stato, diventa un progettista dalla parte dell’uomo”.
Poco alla volta, nella seconda metà del XX secolo, soprattutto con lo sviluppo dell’elettronica, il concetto di “macchina per ufficio” viene superato e si afferma quello di “posto di lavoro”. Non è solo una questione di terminologia: è un ulteriore passo in avanti dell’approccio ergonomico. Si passa dall’idea di una macchina manovrata da una persona a quella di una macchina pensata e ambientata in funzione delle esigenze e capacità di quella persona; una macchina che abbia qualità ergonomiche non solo per il modo in cui è stata costruita, ma anche perché è collocata in un ambiente stimolante e privo di conseguenze negative per il lavoratore sul piano medico e psicologico. L’orizzonte, dunque, si allarga all’intero ambiente del lavoro.
Olivetti: un’antica tradizione ergonomica
L’attenzione alle condizioni del lavoro fa parte delle caratteristiche storiche dell’Olivetti, che ha sempre chiesto agli architetti che progettavano i suoi uffici e stabilimenti di pensare ad ambienti di lavoro moderni, luminosi, gradevoli per chi vi deve passare giorni di lavoro. Anche nella progettazione delle nuove macchine l’Azienda è sempre stata molto attenta alle esigenze di chi le avrebbe dovuta utilizzare. Si può quindi affermare che l’Olivetti ha sempre avuto una sensibilità ergonomica, qualità d’altra parte indispensabile per chi produce macchine per l’ufficio.
A partire dagli anni ’40 questa sensibilità diventa più sistematica e consapevole. Le operazioni che un utente compie su una macchina per scrivere o da calcolo vengono controllate nei diversi aspetti visivi e funzionali e di conseguenza i designer si sforzano di adattare le forme e le funzioni delle macchine progettate. Le cure maggiori sono dedicate alle tastiere: si riducono gli angoli di inclinazione, si modifica il raggruppamento dei tasti, si introduce il colore per i tasti funzione, ecc. E poi si studiano forme più comode e anatomiche per manopole e leve di comando, si introducono leggii e display per facilitare la digitazione e il controllo del lavoro.
All’inizio degli anni ’50, la direzione aziendale sollecita il Centro di psicologia del lavoro che opera in Olivetti ad interessarsi in modo più attivo dei problemi ergonomici connessi alla progettazione delle macchine per ufficio; ne scaturisce una collaborazione con la Clinica del Lavoro Devoto, presso l’Università di Milano.
L’interesse e le competenze su queste tematiche crescono a tal punto che nel 1968 l’Azienda decide di creare un proprio centro di ricerche ergonomiche, che opera in stretto collegamento con gli uffici del design.
A partire da quegli anni la rispondenza di ogni nuovo prodotto o strumento ai requisiti dell’ergonomia viene verificata in modo sistematico, spesso in via preliminare rispetto allo studio della soluzione tecnologica e formale. Gli ergonomi, in sostanza, definiscono preventivamente i vincoli entro i quali deve svolgersi il lavoro dei progettisti e dei designer.
Si studiano gli accorgimenti più adatti per evitare che nella digitazione si perda o si raddoppi o si inverta la stampa di un carattere; si valuta la posizione dei rulli di trascinamento della carta, l’inclinazione dei display; si studiano nuovi caratteri che offrano maggiore leggibilità, si ricercano soluzioni idonee per ridurre la rumorosità della stampa. Grande attenzione viene dedicata ai mobili per ufficio prodotti dalla Olivetti Synthesis: sedie, scrivanie e tavolini per le macchine devono consentire all’operatore posizioni di lavoro corrette, ottimali ai fini del lavoro e non dannose per la salute fisica.
Con lo sviluppo dell’elettronica e dei computer, per gli ergonomi nasce un nuovo, importante filone d’indagine: si affrontano i problemi della postura dell’operatore in presenza di una tastiera e di un video; si indaga sulle distanze ottimali tra l’operatore e le diverse parti del sistema informatico; si indicano soluzioni per eliminare i riflessi, si fissano vincoli per la qualità dei monitor, si impongono ampie possibilità di regolazione di altezza e inclinazione delle tastiere e dei monitor, ecc.
L’ergonomia detta in modo silenzioso, ma perentorio, le sue condizioni; ai designer, non resta che prenderne atto.
Oggi la standardizzazione di molti prodotti per ufficio ha apparentemente ridotto l’esigenza di ricorrere agli specialisti di ergonomia: le misurazioni biometriche sono note e fanno ormai parte dei dati con cui progettisti e designer sono abituati a lavorare. Resta però il fatto che la rispondenza di una macchina a precisi requisiti ergonomici è diventata una condizione indispensabile per stare sul mercato: senza ergonomia non c’è qualità e senza qualità non c’è fatturato.
Questo percorso si avvale di informazioni tratte da “Ergonomia e Olivetti”, due volumetti curati da Bruno Scagliola ed editi dall’Ufficio Ergonomia Olivetti nel 1982.
Videogallery
Macchina cerca forma (1970, 14' 26")
Filmato della "playlist Olivetti" pubblicata su Youtube dall'Archivio Nazionale del Cinema d'Impresa,
a cui l'Associazione Archivio Storico Olivetti ha affidato la conservazione delle sue pellicole storiche.
Al termine del filmato la visione prosegue in modo automatico con i successivi titoli della playlist