Negli anni ’50 l’Olivetti non disponeva di una sede per gli uffici della presidenza e della direzione centrale; si erano fatti molti investimenti per ampliare gli stabilimenti e aprirne di nuovi, si era costruito un palazzo per la direzione commerciale a Milano (1956), ma a Ivrea gli uffici erano rimasti dispersi in varie strutture. Tra il 1952 e il 1955 agli architetti Marcello Nizzoli e Mario Oliveri era stato affidato il compito di proporre una soluzione, ma i loro studi preliminari non avevano avuto seguito.
Ben presto, però, il rapido sviluppo aveva costretto l’Azienda a riprendere il progetto: era divenuta indispensabile una nuova sede che potesse ospitare in modo più razionale gli uffici delle staff centrali.
Il progetto
Il primo passo del progetto consiste nell’individuare l’area più adatta: un vasto terreno di proprietà aziendale, alle falde della collina di Montenavale a Ivrea, in posizione strategica in quanto a breve distanza sia dal casello autostradale, sia dai principali stabilimenti Olivetti disposti lungo la direttrice della via Jervis (ex via Castellamonte).
Quindi, nel maggio 1960, l’incarico formale del progetto è affidato a tre architetti da tempo legati all’Olivetti: Gian Antonio Bernasconi, Annibale Fiocchi e Marcello Nizzoli.
Il progetto deve tenere conto di alcune condizioni: l’edificio, che sarebbe poi diventato la sede sociale della Società, deve ospitare almeno 2.000 persone e deve consentire flessibilità nella configurazione delle planimetrie e facilità nei collegamenti in senso sia orizzontale che verticale. Inoltre, come nella tradizione architettonica della Olivetti, ai progettisti viene richiesta una particolare attenzione all’ambiente: la costruzione, anche se di grandi dimensioni, deve inserirsi gradevolmente nell’ampia area verde individuata (quasi 80.000 mq di prato e bosco).
Partendo da questi presupposti, viene messo a punto un progetto di massima. Per limitare l’impatto ambientale, si riprende l’idea di una struttura a raggiera già proposta da Nizzoli e Oliveri negli anni precedenti. Dal corpo centrale – un esagono regolare quasi interamente occupato da un grande scalone elicoidale – si dipartono tre bracci, lunghi 70 metri e orientati a 120° l’uno dall’altro, che movimentano l’intera struttura e danno un senso di maggiore agilità architettonica, nonostante i sette piani fuori terra. Questa soluzione soddisfa anche l’esigenza di agevole comunicazione tra i diversi uffici. Il corpo centrale, con il suo scalone a vista, funge da disimpegno e raccordo tra le ali e diventa luogo di passaggio e incontro informale tra le persone; in sostanza, svolge un ruolo simile a quello della piazza in una città.
Quanto all’esigenza di flessibilità planimetrica, il progetto offre varie possibilità. Le ali sono percorse da un corridoio centrale che dà accesso agli uffici disposti su entrambi i lati: la suddivisione delle aree è realizzata con pannelli mobili prefabbricati, che possono essere facilmente spostati di 1,20 metri nel senso longitudinale delle ali e di 0,90 metri nel senso trasversale. In questo modo la metratura dei diversi uffici, tutti con finestre e quindi con illuminazione naturale, può essere facilmente variata.
Inoltre, l’ala C, parallela a via Jervis, essendo larga 20 metri (a differenza delle ali A e B larghe 16 metri), rende possibile destinare uno spazio interno a locali di archivio, salotti di attesa e altre aree di servizio.
La realizzazione
Il palazzo presenta sette piani fuori terra (più un piano di dimensioni ridotte, simile a un super-attico), un seminterrato e due piani interrati per i magazzini, impianti e servizi tecnici.
La facciata, regolare ed armoniosa, è alleggerita dall’ampia vetratura con finestre a nastro; la parte non finestrata, è rivestita in granito rosa di Baveno, con una fascia di sienite della Balma di colore grigio in corrispondenza del piano terra. La copertura del vano centrale del grande scalone è in vetro di Murano; tutti i materiali sono scelti con grande cura e attenzione agli effetti cromatici.
Tra le decorazioni spiccano quelle di Nizzoli, poste nell’ingresso principale accanto alle porte degli ascensori che servono il palazzo. Di Nizzoli sono anche i graffiti incisi nella pietra grigia all’esterno dell’ingresso.
Alcuni critici, commentando il valore architettonico del nuovo edificio, hanno rilevato una continuità formale con il razionalismo del palazzo Olivetti di via Clerici a Milano, progettato da Nizzoli e Oliveri; altri hanno preferito richiamarsi al pragmatismo funzionale di altri edifici olivettiani di Ivrea, come la mensa Gardella e la sede dei servizi sociali.
La realizzazione della costruzione – a conferma di quanto fosse divenuto urgente il progetto – è molto rapida. Il progetto di massima viene presentato e approvato nel luglio 1960, a settembre si ottiene la licenza edilizia e subito dopo iniziano i lavori. Già nel novembre 1962 alcuni uffici possono trasferirsi nel nuovo palazzo, che alla fine del 1963 risulta completato e totalmente occupato.
Nel corso della costruzione sono apportate anche alcune modifiche rispetto al progetto iniziale. Tra l’altro, si rinuncia alla realizzazione di una grande sala di riunione per 300 persone posta su uno specchio d’acqua esternamente all’ala C; anche il giardino pensile previsto per il piano attico non viene realizzato.
Il centro di calcolo e l’area verde
Il centro di calcolo, come richiesto dagli elaboratori di quel tempo, necessita di soluzioni particolari e non può quindi essere facilmente inglobato nel palazzo uffici; gli viene pertanto dedicata un’apposita costruzione a pianta rettangolare che si sviluppa su 2.500 mq di superficie con un piano interrato e uno fuori terra; posta a nord-est dell’ala B, comunica con il palazzo uffici mediante una breve passerella.
Una caratteristica dell’edificio è la copertura lenticolare – quasi un enorme coperchio grecato – che poggia sulle pareti perimetrali e che, per effetto dell’ampia vetratura consentita dall’arretramento dei pilastri strutturali, sembra “sospeso”, rendendo più leggera la massa della costruzione. Iniziato nel 1961, il centro di calcolo viene occupato già a partire dal 1962.
In un progetto ambizioso come quello impostato, non poteva essere ignorata la sistemazione dell’ampia area verde circostante. Il compito viene affidato a Piero Porcinai, a cui si deve in particolare la scelta molto curata delle piante sistemate in prossimità dell’ingresso principale e il lungo filare di pioppi cipressini lungo la via Jervis, che ormai sono divenuti elemento caratteristico del paesaggio locale. Il progetto di Porcinai, che tra l’altro prevedeva la grande vasca d’acqua in corrispondenza della sala riunioni esterna all’ala C, pur se realizzato solo in parte, ha contribuito in modo importante al positivo inserimento ambientale del quartier generale dell’Olivetti.
Questo percorso è in parte liberamente tratto dal volume di D. Boltri, G. Maggia, E. Papa, P.P. Vidari, “Architetture olivettiane a Ivrea”, Gangemi Editore, Roma 1998.