Se Dante Alighieri avesse avuto una M1…
Dopo quasi tre anni di studi e progetti, nel 1911 finalmente la Olivetti è in grado di presentare all’Esposizione Universale di Torino il suo prodotto: è la M1, la prima macchina per scrivere italiana.
Ma il mercato non è preparato ad accogliere la novità: le macchine per scrivere sono poco diffuse, vengono dall’estero e i potenziali clienti diffidano di uno sconosciuto produttore nazionale.
L’obiettivo del messaggio pubblicitario è perciò in primo luogo quello di creare fiducia: il prodotto è utile, funzionale, di qualità uguale o superiore ai prodotti stranieri.
Camillo Olivetti, che ha fondato la società nell’ottobre 1908, affida la realizzazione di un primo manifesto al pittore Teodoro Wolf Ferrari. Siamo solo nel 1912, ma la decisione di rivolgersi a un artista è già il segnale di una politica aziendale che in seguito avrà grandi sviluppi.
Nel suo manifesto Wolf Ferrari, probabilmente su suggerimento dello stesso Camillo Olivetti, raffigura Dante Alighieri che indica con un atteggiamento autorevole, quasi di comando, una M1.
La forma di comunicazione è quella del ”testimonial”: Dante assume il ruolo di garante della italianità e della qualità del prodotto. La sua fama e il suo prestigio si riflettono in qualche misura anche sulla macchina Olivetti.
Pubblicità ingenua e diretta per la M20
Questo tema viene ripreso negli anni ’20 con il nuovo prodotto, la M20. “Se i nostri padri potessero vedere la macchina da scrivere Olivetti griderebbero al miracolo”, recita una pubblicità del 1929 che raffigura un gruppo di personaggi storici della cultura italiana, tra cui compare nuovamente Dante.
Negli anni successivi alla Grande guerra, un manifesto del 1922-23 disegnato dai fratelli Manlio e Erminio Pirovano presenta la M20 che corre "rapidissima" su dei binari, più veloce di un treno. Segue poi una prolungata campagna pubblicitaria che sulle pagine dell’Illustrazione Italiana mira ad esaltare le qualità tecnologiche dei prodotti nazionali con slogan di questo tipo: “La macchina italiana che nulla ha da invidiare alle macchine straniere”; “Italiano, tu che hai combattuto sofferto e vinto non preferire la macchina straniera all’italianissima Olivetti”; “La storia dell’Italia vittoriosa si deve scrivere con la macchina Olivetti”.
Una pubblicità del 1930 si discosta decisamente da quelle pubblicate sull’Illustrazione Italiana: non più il disegno curato, con varie tonalità di grigio, ma quasi una vignetta, dove un distinto signore osserva il bambino che, armato di martello, sta prendendo di mira una macchina per scrivere Olivetti. “Quella, caro, non la rompi: è una Olivetti”, proclama il signore. E’ cambiato lo stile del disegno, ma il messaggio non è nuovo: la solidità del prodotto, la qualità, l’eccellenza tecnologica sono concetti ricorrenti nella comunicazione pubblicitaria ispirata da Camillo Olivetti.
Messaggi mirati al mondo delle segretarie
Negli uffici la diffusione delle macchine per scrivere è solo agli inizi e per attirare nuovi clienti non mancano i messaggi pubblicitari rivolti alla dirigenza delle imprese. Si fa leva su concetti economici: il costo dell’investimento è ripagato dalla maggiore efficienza e dal ritorno d’immagine consentiti dall’impiego della scrittura meccanica.
Ma l’acquisto di una macchina per scrivere interessa anche le segretarie che sempre più numerose lavorano negli uffici. A loro si rivolge un ampio filone della pubblicità Olivetti degli anni ’20.
In due noti manifesti realizzati da Marcello Dudovich, aggraziate figure femminili guardano con evidente compiacimento una macchina per scrivere Olivetti. Le figure si stagliano nitide su uno sfondo di colore uniforme, rosso per il manifesto del 1926, verdone per quello del 1928. Le immagini parlano da sé: non occorre un testo, è sufficiente la presenza del logotipo, tanto più che in questi anni l’offerta Olivetti si basa su un solo modello: Olivetti significa macchina per scrivere e macchina per scrivere significa M20.
Invece sulle pagine dell’Illustrazione Italiana la campagna pubblicitaria rivolta alle segretarie ricorre a disegni più tradizionali. I messaggi sono trasparenti, immediati; devono far presa sui sentimenti e sull’immaginazione più che sugli aspetti tecnici o razionali. La segretaria riconosce una macchina Olivetti per la “dolcissima tastiera” o per la rapidità (“velocissima”, “rapidissima”) con cui può svolgere il lavoro; la tastiera è “agile come un volo di rondini”, “il tocco è leggerissimo”; una macchina Olivetti diventa un sogno, una “rosea speranza”, qualcosa che è atteso come un dono o come un premio.
La svolta degli anni Trenta
La realizzazione delle campagne pubblicitarie dapprima viene affidata ad agenzie esterne, ma a partire dal 1928 in parte è condotta da un embrionale Servizio Pubblicità, che negli anni ’30 acquista una maggiore autonomia di lavoro.
Nella gestione dell’azienda si accresce il ruolo di Adriano Olivetti che gradualmente subentra al padre Camillo. La comunicazione pubblicitaria cambia stile: al posto dei disegni ingenui dei primi tempi, ora si ricorre a messaggi più raffinati, a immagini fotografiche, a rappresentazioni grafiche più elaborate.
Nel 1930 esce la M40 che affianca e poi sostituisce la M20; ma le vere novità sono la MP1 (1932), prima macchina per scrivere portatile, e la Studio 42 (1935), prima macchina semi-standard.
Il manifesto disegnato dal pittore Xanti Schawinsky per la MP1 riprende il tema della donna e della macchina: non più una segretaria come nelle ingenue immagini di Dudovich, ma un’elegante signora appoggiata alla MP1, sicura di sé e della sua macchina. Sparisce persino il logotipo, il nome Olivetti lo si legge solo sulla carrozzeria della portatile.
Il messaggio punta chiaramente all’eleganza del prodotto e a un nuovo tipo di clientela. La MP1 non è pensata solo per il lavoro negli uffici: maneggevole ed elegante, può essere utilizzata dovunque, a casa, in viaggio, all’aperto.
Raramente compare un testo o si cita il nome della macchina; Olivetti è ormai una ditta conosciuta e di successo e allora basta presentare il prodotto con due parole soltanto: Olivetti portatile.
Verso una nuova fase della comunicazione pubblicitaria
Con la Studio 42, macchina semi-standard o da studio, per la prima volta i designer sono coinvolti già nella fase di progetto, durata più di tre anni, durante i quali il pittore Schawinsky e gli architetti Figini e Pollini collaborano con i progettisti. In diversi messaggi pubblicitari si farà quindi riferimento alla qualità progettuale della nuova macchina, garanzia di durata e di qualità.
La Studio 42 è in primo luogo destinata alle famiglie, al mondo dei professionisti e di chi lavora in casa. L’aspetto estetico è quindi importante; un’inserzione ricorda che “la bella linea e la varietà dei colori della nuova Olivetti armoniosamente rispondono all’esigenza di ogni ambientazione”. In particolare la varietà dei colori proposti (nove), insieme alla varietà dei caratteri offerti (sedici) rappresenta una novità.
Nei disegni di Costantino Nivola e di Giovanni Pintori, la Studio 42 è affiancata a immagini di farfalle e rami in fiore, che dànno l’idea dell’eleganza e della leggerezza. Ma per sottolineare che solidità e qualità non sono state sacrificate, si ricorda che il nuovo prodotto è una “macchina da studio con la capacità di lavoro di una macchina da ufficio”.
Abbandonate le forme semplici e i messaggi ingenui del decennio precedente, alla fine degli anni ’30 la comunicazione pubblicitaria dell’Olivetti si affida a un gruppo di professionisti e diviene strumento di promozione sistematica dello sviluppo commerciale. L’Ufficio Sviluppo e Pubblicità, costituito nel 1931 da Adriano Olivetti e affidato a Renato Zveteremich, acquista una crescente importanza; in azienda iniziano a lavorare, come dipendenti o collaboratori, qualificati grafici e architetti. Alla guida dell’Ufficio Tecnico Pubblicità nel 1938 arriva Leonardo Sinisgalli, che si avvale di grafici del valore di Nivola e di Pintori. Sono le basi per la straordinaria vivacità della comunicazione pubblicitaria Olivetti nei decenni successivi.