Tra il 1926 e il 1977 l’Olivetti realizza a Ivrea e in altre località importanti iniziative di costruzione di abitazioni per i dipendenti. In genere i progetti sono affidati ad architetti qualificati, che garantiscono risultati di elevata qualità ambientale e costruttiva, in coerenza con l’idea di Adriano Olivetti secondo cui le condizioni e l’aspetto dei luoghi di lavoro e di residenza influiscono sulla qualità della vita sociale e sull’efficienza produttiva.
Borgo Olivetti e Quartiere Castellamonte
Le prime abitazioni sono costruite a Ivrea nel 1926 per iniziativa del fondatore Camillo Olivetti. Sono sei case unifamiliari, realizzate in un’area vicina agli stabilimenti che prenderà il nome di Borgo Olivetti. Il modello stilistico è di tipo tradizionale; le case dispongono di un orto-giardino, per contribuire all’autosufficienza alimentare delle famiglie.
Un deciso cambiamento delle politiche abitative interviene nella seconda parte degli anni ’30, in coincidenza con il maggior ruolo assunto da Adriano Olivetti, figlio di Camillo, nella conduzione dell’Azienda.
L’incarico di progettare nuove abitazioni viene affidato ad architetti di alto profilo nella cultura architettonica nazionale e le costruzioni, che offrono standard qualitativi di buon livello, si inseriscono in un progetto urbanistico complessivo che prevede la nascita di nuovi quartieri residenziali nelle aree prossime agli stabilimenti.
La prima realizzazione è degli architetti Luigi Figini e Gino Pollini, che già hanno lavorato al Piano Regolatore della Valle d’Aosta del 1937 (in quegli anni Ivrea ne fa parte) e alla progettazione dei nuovi stabilimenti di Ivrea. Nel 1939-1941 ad opera dei due architetti sorge una casa di tre piani nel Borgo Olivetti, a ridosso della scuola materna, per ospitare 24 famiglie. Il progetto si ispira ai canoni dell’architettura moderna internazionale di quegli anni, con volumi riconducibili a figure geometriche elementari.
Tra il 1940 e il 1942 gli stessi Figini e Pollini realizzano non lontano dal Borgo Olivetti un complesso di sette case per famiglie numerose. Le costruzioni hanno forma di parallelepipedi, con tetto piano e pareti esterne intonacate bianche, in omaggio alla cultura architettonica di matrice razionalista. E’ l’inizio del quartiere di via Castellamonte (oggi via Jervis), che nel dopoguerra si espande con abitazioni progettate da Marcello Nizzoli e Gian Mario Oliveri: sei case unifamiliari per dirigenti dell’Olivetti (1948-1952), due case di 4 alloggi ciascuna (1951) e la cosiddetta “casa a 18 alloggi” (1954-55). Quest’ultima si differenzia nettamente dalle opere precedenti: collocata in un’ampia area verde, si presenta come l’aggregazione di tre elementi di diversa altezza e diverse soluzioni formali per le facciate.
Canton Vesco e Canton Vigna
In tempo di guerra, nel 1943, con la costruzione di un fabbricato di 3 piani da 15 alloggi l’Olivetti avvia i lavori per il quartiere di Canton Vesco a Ivrea. Il progetto è di Ugo Sissa, che nel 1945-46 insieme a Italo Lauro realizza nella stessa area altri due edifici. Seguono, tra il 1943 e il 1954, altri sette fabbricati, tutti direttamente finanziati dalla Olivetti. All’ampliamento del quartiere contribuiscono anche quattro case di Annibale Fiocchi (capo dell’Ufficio Tecnico Olivetti tra il 1947 e il 1954) e Marcello Nizzoli.
La collaborazione tra Fiocchi e Nizzoli è determinante per la definizione dell’assetto architettonico e urbanistico del quartiere, ma anche per l’avvio di nuove iniziative nel contiguo Canton Vigna. Qui nel 1950-51 si costruiscono tre fabbricati basati su tre diverse tipologie costruttive (“A”, “B”, e “C”), che nella zona verranno replicate con altre costruzioni. E’ il primo cantiere aperto dall’Olivetti con i contributi finanziari di Ina-Casa; in seguito, per il completamento delle abitazioni in quest’area l’Olivetti ricorrerà anche all’Istituto Autonomo Case Popolari (IACP) di Torino, fornendo comunque gratuitamente il progetto e l’assistenza tecnica.
Il quartiere di Canton Vesco si espande (le ultime costruzioni nelle aree ancora libere sono del 1976) secondo un modello, tipicamente britannico o scandinavo, che prevede infrastrutture viarie, scuole, servizi commerciali e sociali (la chiesa è progettata da Nizzoli e Oliveri, la scuola materna da Ridolfi e Frankl, quella elementare da Ludovico Quaroni) capaci di rendere il quartiere semi-autonomo.
La Sacca e il quartiere Bellavista
Per fronteggiare la crescente domanda di abitazioni, connessa all’espansione dell’Olivetti, tra il 1958 e il 1962 l’Azienda promuove un altro insediamento residenziale a est di Canton Vesco, nell’area denominata la Sacca (o Montemarino), dove in seguito sorgeranno varie costruzioni di cooperative di dipendenti Olivetti.
A sud di Canton Vesco viene progettato il nuovo quartiere di Bellavista, per 4000 abitanti. La progettazione urbanistica, affidata nel 1957 a Luigi Piccinato, prevede che il complesso, con ampie aree verdi e a bassa densità abitativa, sia delimitato da una strada perimetrale da cui si dipartono le vie di accesso ai vari edifici; al centro sono posizionati la chiesa, le scuole e gli edifici per i servizi.
Le prime costruzioni sono del 1960-61 con finanziamenti ottenuti da Ina-Casa; in seguito, accanto alla Olivetti interverranno anche la Gescal e l’IACP.
Pozzuoli
Anche al di fuori di Ivrea, in altre aree di presenza aziendale come Aglié (TO), Roma e Massa Carrara, l’Olivetti costruisce case per i dipendenti.
Ma il quartiere Olivetti più interessante è certamente quello di Pozzuoli, posto in prossimità della fabbrica e realizzato in collaborazione con l’Ina-Casa. Il progetto, contestuale a quello dello stabilimento, è affidato nel 1951 da Adriano Olivetti a Luigi Cosenza. Tra il 1952 e il 1963 vengono realizzati tre lotti; le case sono disposte secondo uno schema a corte, in una sequenza continua di fabbricati di due o tre piani uniti dai corpi scala all’aperto.
Le agevolazioni per i dipendenti
Tra il 1926 e il 1976 gli alloggi costruiti dall’Olivetti, direttamente o in collaborazione con enti pubblici, sono 1.213 (973 a Ivrea). Le abitazioni erano date in affitto o a riscatto a condizioni decisamente vantaggiose rispetto ai prezzi di mercato; la selezione dei dipendenti era affidata a una commissione, formata dal Consiglio di Gestione e dai rappresentanti di alcuni enti aziendali sulla base di criteri quali: il reddito, le condizioni familiari, l’anzianità aziendale, ecc.
La politica abitativa dell’Olivetti si completava con l’assistenza gratuita e il finanziamento agevolato dei dipendenti interessati alla costruzione o ristrutturazione delle proprie abitazioni. L’ente aziendale incaricato era l’Ufficio Consulenza Case Dipendenti (UCCD), dal 1949 al 1969 diretto da Emilio Tarpino. Grazie alla consulenza (e ai prestiti) fornita dall’UCCD con architetti di prim’ordine si è diffuso nel territorio un certo gusto e stile architettonico che ha influito positivamente sul paesaggio edilizio. Negli anni ’50 a Ivrea furono progettate per conto di dirigenti Olivetti alcune abitazioni di notevole interesse architettonico, tra cui la casa Gerardi, villa Rossi, casa Capellaro.
La morte di Adriano Olivetti nel 1960 segna una svolta anche nella politica edilizia della Società: cambiano i criteri di selezione e cooptazione degli architetti, alcuni progetti sono rallentati o abbandonati. Mentre i vincoli di bilancio diventano più stringenti, migliorano le condizioni socio-economiche dei dipendenti, il cui numero – a partire dagli anni ’70 – inizia a calare. Poco alla volta sfumano, quindi, le ragioni che avevano giustificato i rilevanti investimenti dell’Azienda per fronteggiare il problema dell’abitazione dei dipendenti.
Alla redazione di questo percorso ha contribuito Patrizia Bonifazio